Corriere dello Sport: “Palermo, un tuffo nel passato: u turcu era l’incubo dei portieri. Sukru, il gigante buono dal tiro che faceva male”
“Il gigante buono, all’anagrafe Melaid Gulesin, detto Sukru, cioè “sorridente”, goleador, dirigente sportivo, giornalista, all’inizio degli anni ’50, simbolo del Palermo vincente di Raimondo Lanza, per i tifosi era semplicemente “u turcu”. Primo calciatore turco in Italia, primo del Palermo che avrebbe successivamente tesserato Bulent e Metin, fermandosi al 1962, vuoto che neppure Zamparini è riuscito a coprire con la sua squadra multietnica. Il suo tiro faceva male. Ma non era l’unico pezzo di bravura. Attaccante di circa cento chili, Sukru batteva i calci d’angolo a rientrare e la leggenda parla di ben trentadue centri dalla bandierina. In più era rigorista spietato: lunga rincorsa e bordata centrale, una palla di cannone scagliata da undici metri che metteva paura ai portieri.
PASSO INDIETRO. Sukru arrivò a Palermo nell’estate del ’50, proveniente dal Besiktas ma in prestito dalla Lazio. L’allenatore del Besiktas, per cinque mesi, era stato il mitico Peppino Meazza che se ne innamorò e fece di tutto per portarlo in Italia. Lo prese la Lazio ma pochi giorni dopo il turco litigò con l’allenatore Sperone e per punizione venne spedito a Palermo. Gulesin esordì contro il Milan (0-1), alla quinta giornata, e alla sesta mise a segno una doppietta contro il Novara, in un tabellino d’autore che comprendeva Vycpalek e, per il Novara, Silvio Piola in gol con una delle sue classiche rovesciate che, per anni, venne testimoniata alla Favorita da una gigantografia piazzata all’ingresso della tribuna. In più infilò una striscia record di sette partite sempre in gol (Dybala si è fermato a cinque). Ritrova Meazza non sulla sua panchina ma in quella della Pro Patria travolta per 8-0 (altro record), l’ottavo gol il suo su rigore con Uboldi centrato in pieno e finito in rete con tutto il pallone. La domenica successiva arriva il Padova. Altro rigore e stavolta il portiere Romano preferisce togliersi dalla traiettoria per evitare di essere colpito. Nel Palermo, Mustafà giocò due stagioni, nel ’50-’51 e nel ’52-’53 (in mezzo il ritorno alla Lazio). Era tipo da gossip. Faceva parlare di sé in campo e fuori. Una volta in un night piantò un coltello vicino alla mano del tecnico Viani che l’aveva sorpreso a fare le ore piccole. Spesso avvistato per le vie della città, in compagnia del danese Bronèe a bordo di una ingombrante Buick, a sperperare quanto guadagnava col calcio, con donne stupende, protagonista di risse clamorose e di sbronze memorabili, una sera d’aprile del ’51 venne picchiato all’uscita di un locale e lasciato a terra privo di sensi, con ferite alle testa e agli zigomi, procurati da una mazza di legno. Un particolare curioso lo lega alla Sampdoria. Nelle due stagioni palermitane, giocò l’ultima di campionato sempre a Genova e sempre con la Samp. Così, quella del 31 maggio 1953 fu la sua ultima prestazione in rosanero. In tutto, cinquanta. Con venti gol. Anzi … ventuno, con il traguardo di un mito intramontabile. Sukru morì a 55 anni, nel ’77, stroncato da un attacco cardiaco”. Questo ciò che si legge sull’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.