“Un solo italiano fra gli 11 scesi in campo lunedì sera a Cagliari: Andrea Rispoli, peraltro capitano della squadra. Nel Palermo non era mai successo, pur in questi anni di trasformazioni profondissime con l’avvento ormai preponderante di calciatori stranieri in qualunque formazione. Nello spogliatoio rosanero bene o male c’è stato sempre uno zoccolo duro composto di italiani, o comunque di elementi che conoscevano a fondo il nostro campionato. E il loro apporto a fine stagione si avvertiva, eccome. Ma da tempo le abitudini sono cambiate anche e soprattutto per Zamparini, che fa affari più volentieri all’estero, ritenendo di risparmiare o di prendere chissà quali talenti, ma sacrificando quasi sempre il senso di appartenenza o sottovalutando i problemi per esempio di adattamento alla lingua. È il segnale di un calcio diverso, multietnico, che deve assemblare velocemente linguaggi differenti in campo e fuori. Già ad inizio di stagione l’organico del Palermo era composto per oltre il 50% da non italiani: su 28 calciatori, appena 10 provengono dalla nostra scuola. I due portieri Fulignati e Marson, i difensori Vitiello, Goldaniga, Pezzella e Rispoli, un solo centrocampista (Gazzi), e tre fantasisti, Diamanti, Bentivegna e Lo Faso. Gli ultimi due, giovanissimi alle prime armi. Una netta minoranza rispetto al nucleo vastissimo di calciatori arrivati dal resto del Mondo (sono 15 le nazioni rappresentate in rosanero). Ma ad un solo italiano nella formazione titolare il Palermo non ci era mai arrivato. Si è trattato forse anche di una somma di casualità, visto che a Cagliari sono usciti in un colpo Goldaniga, Gazzi e Diamanti che finora erano stati quasi sempre titolari. Ma se è vero che Diamanti è subentrato, i rosa hanno comunque chiuso con 10 stranieri su 11 campo perché Rispoli è uscito per far posto allo svizzero Morganella. Non è detto naturalmente che ci sia una diretta conseguenza fra il modesto campionato attuale e il numero sempre più folto di stranieri in rosa. Altre squadre non di primissimo piano si comportano così (l’Udinese è il caso più clamoroso) e ottengono comunque buoni risultati. Non è una questione di origine, ci mancherebbe, visto che anche nel recente passato fior di campioni di altre latitudini hanno nobilitato il calcio palermitano. Ma fra i problemi di assemblaggio di una squadra nuova c’è sicuramente la capacità di comunicare facilmente o il potersi appoggiare a dei leader che in questo gruppo certamente scarseggiano. La metamorfosi negli anni è stata profonda, anche se il Palermo è stata fra le società che ha più lungo resistito a proporre squadre di gran livello a forte tinta tricolore. Il gruppo che riportò i rosa in A (ma parliamo ormai di 12 anni fa!) era praticamente tutto italiano (Berti, Corini, Toni, Zauli) con punte “dialettali” che fornivano un quid in più (i palermitani Accardi e Vasari). Ma anche successivamente il Palermo che lottò per l’Europa era formato da promesse del nostro calcio: da Zaccardo e Barzagli a Cassani e Balzaretti, al centrocampo tutto azzurro Migliaccio, Liverani, Nocerino. Per non parlare di Miccoli. Fino a pochi anni addietro, non era inconsueto vedere una formazione rosanero composta per nove undicesimi da calciatori italiani. Solo nel 2014/15, con Iachini in panchina, il Palermo sfidò la Juventus presentandone 7: Sorrentino, Rigoni, Maresca, Vitiello, Vazquez, Terzi e Rispoli (più Belotti subentrato), e batté il Napoli con una prestazione scintillante (3-1) schierandone 6 dall’inizio. Ancora solo in avvio della scorsa stagione Palermo presentava Rigoni e Maresca in mezzo al campo e arrivò alla salvezza grazie al contributo decisivo di esperti come Sorrentino, Rispoli, Vitiello e Gilardino. Ora siamo arrivati al “record” di Cagliari, 10 stranieri su 11: la squadra parla sempre meno l’italiano. L’importante è che impari comunque la lingua della salvezza”. Questo quanto riportato da “Il Corriere dello Sport”.