L’edizione odierna del “Corriere dello Sport” parla della questione stipendi dei calciatori. L’idea di sospendere il pagamento dello stipendio di marzo è stata solo una prima mossa. Un modo per smuovere le acque e per aprire un fronte. Anche perché, all’atto pratico, non cambia nulla per i club, tenuto conto che la scadenza per quella mensilità e la fine di maggio. In realtà, dietro questo passo c’è un disegno più ampio che ha come obiettivo allargare quello stesso fronte anche al resto dell’Europa, creando un asse con le altre Leghe, a partire da quelle più importanti, ma coinvolgendo anche le più piccole. Non a caso, a tirare le fila in questo sono i grandi club, vale a dire quelli che hanno i campioni, a cui versano ingaggi elevatissimi. E, infatti, i primi riscontri concreti sono arrivati da Real Madrid e Barcellona: non poteva essere altrimenti visto che il club catalano, ad esempio, tocca quota 500 milioni per il pagamento del personale. Già, ma l’obiettivo fi nale quale di questa iniziativa quale potrebbe essere? Tenuto conto che a marzo, almeno in parte, si è giocato, e quindi per quella parte andrà pagato, aggiungendo le mensilità complete di aprile, maggio e giugno, il taglio agli ingaggi potrebbe aggirarsi tra il 25 e il 30%. Attenzione, però, perché il calciatore è un lavoratore autonomo dipendente e le normative in vigore impediscono di bloccare gli stipendi. Si può solo smettere di pagarli… La Francia è un caso a parte perché una legge dello Stato consente la riduzione degli emolumenti fi no al 70% lordo e alcuni club l’hanno già attuato. Poi ci sono gli esempi del Sion, in Svizzera, che ha licenziato i tesserati che non hanno accettato la cassa integrazione speciale, e del Borussia Monchengladbach, in Germania, con i calciatori che si sono tagliati l’ingaggio, per aiutare economicamente i dipendenti del club in diffi coltà. Ma serve un movimento comune per portare avanti questa istanza e per sostenere che è una criticità che riguarda tutti i campionati e i tutti i club. Ferma restando la diversità delle varie realtà, perché tra i vari paesi europei esistono, tanto per cominciare, fi scalità diverse e trattamenti pensionistici diversi. Insomma, servirà anche un lavoro di sintesi, ma occorre muoversi in maniera coordinata. Inevitabile che, se si vorrà precedere in questa direzione, il compito di individuare un minimo comune denominatore spetterà alla Epfl , ovvero l’organismo che rappresenta tutte le Leghe. E non all’Eca, che invece raccoglie i club che partecipano alle competizioni continentali. Rimanendo in ambito italiano, le resistenze sono già scattate. La linea dell’Aic è quella di attendere una valutazione complessiva delle perdite a cui andrà incontro il calcio a causa del coronavirus, per poi stabilire in che misura dovranno contribuire i calciatori. In sostanza, c’è la disponibilità al sacrifi cio, ma non è ancora il momento di fare calcoli. Anche dalla Federazione è stata confermata la sensibilità al problema. Tuttavia, come si può leggere anche a parte, non è stata gradita la mossa dell’altro giorno della serie A, ritenuta una forzatura. Ma forse questo passo è stato fatto proprio, come già premesso, in maniera strategica, per attivare un processo a raggio molto più ampio. Tanto che anche gli interlocutori, se si dovesse procedere in questa direzione, potrebbero cambiare o allargarsi, arrivando alla Fifpro, ovvero l’ente che rappresenta tutti i giocatori del mondo, e di conseguenza anche all’Uefa. Già perché, nella visione dei club, è impensabile che l’organismo europeo non dia il suo contributo su questo tema, limitandosi a pretendere dalle varie Federazioni un sostegno per compensare le perdite legate allo spostamento dei Campionati Europei. Piuttosto dovrebbe intervenire attraverso una serie di ammortizzatori sociali per sostenere un sistema destinato ad entrare in crisi.