“Ilija Nestorovski, gol, prima vittoria in casa e in arrivo per giugno, il secondo figlio. Palermitano? «Di sicuro un maschietto, così facciamo la coppia. Ma nascerà come me a Prilep perchè mia moglie Martina andrà via per evitare di muoversi col pancione. Io farò avanti e indietro». Entriamo nel suo mondo: suona la sveglia … «La sveglia è Irina, la mia piccola regina. Ieri, alle cinque del mattino, era già in piena attività: “Tatà giochiamo”. E allora giù dal letto sul tappeto, la casa che diventa un circo. Giochiamo con il cane di pezza e lei finge che mi morde, con pupazzi e bambole, la macchina di Topolino …, poi, se sono libero, in spiaggia se c’è sole o la classica passeggiata in centro. Tutto in famiglia».Colazione e giornali? «Un caffè non deve mai mancare, poi quello che capita: toast, corn flakes con latte, cornetto. I giornali li leggo sul cellulare, assieme alla rassegna dell’ufficio stampa. Rabbia per i giudizi negativi? No fa parte del gioco». Palermo e Prilep, qualcosa in comune? «No. Prilep è una città piccola, per me la più bella del mondo, il mio cordone ombelicale. Tanti si rompono la schiena nelle piantagioni di tabacco, poi c’è una grande fabbrica per lavorarlo. Pub? Ristoranti? Da mezzogiorno all’una non c’è un tavolo libero. Non è come a Palermo che puoi mangiare quando ne hai voglia, anche alle tre. Se un amico mi chiede: perché Prilep? Rispondo: Ci vivo io!». Immaginiamo già i primi gol! «Finita la scuola, mi fermavo con gli amici nel campetto allora di cemento: calcio, basket, pallamano. Adesso sono tutti alle prese con internet e facebook e quei campetti restano vuoti. Gol? Pur di giocare dicevo che ero portiere. Anche mio figlio farà il calciatore mai in porta anche se l’importante a quell’età è divertirsi. Non sono cambiato. Mi chiedono: il Napoli, la Juve, il Real? Voglio essere felice, se sto in panchina non lo sono». Una passione ereditata …? «Potrei dire da papà ma non è così. A 19 anni gli hanno proposto un prestito in terza categoria e si è arrabbiato: finisco la scuola e smetto. E’ stato di parola. E i figli? Se sei maschio, i genitori ti impongono il calcio. Per fortuna già a sette anni ero un fenomeno (ride)». La sua famiglia, le sue radici. «Papà Goran lavora come manutentore in un liceo. Impiegato statale. La mamma Giordana in una fabbrica di vestiti. A Prilep ci si arrangia. E poi mia sorella, Natali, più piccola di un anno, fidanzata. Soprannomi? Per mia moglie sono: “Mio amore” o “Sole”, in macedone come dire ti voglio bene. Nel mondo del calcio “Nestor” e ora, dopo tanti gol, anche “maestro”». Qualche segreto? «Non ho Playstation, la politica non mi interessa, sono cristiano. Guardo la tv per il calcio anche dieci volte lo stesso gol. Musica? Motivetti per bambini, io ascolto quella balcanica. Ultimo libro letto? All’asilo… Ne sarà passato di tempo? Adesso dopo dieci pagine mi annoio. Ho provato con la storia di Ferguson… Nessuna emozione. Guardare film? Ore buttate. Al massimo “X Factor”. Le auto? Non sono il tipo che copio il compagno che arriva in Porsche. I soldi preferisco investirli nel mattone». Dove ha conosciuto Martina? «In discoteca. Era seduta nella zona vip, una star, io la guardavo da dietro il separé. Come l’ho conquistata? Sono o non sono un bel ragazzo? Un calciatore, con un telefonino ultima moda? Vedo questa donna, affascinante, abbronzatissima e dico: “Troppo bella, è mia”. Lei mi snobba. Faceva finta, ormai era fatta. Bella, colta, laureata, insegnante di inglese… Perché ha scelto me? Sono intelligente, un divo del calcio, con gli amici sempre il più simpatico, un figlio di buona madre. Vi basta? (risate)». Sempre testa al pallone. Possibile? «Sono andato a scuola fino al ginnasio. Senza un pallone non avrei saputo cosa inventarmi. Ho sempre creduto di essere un grande, di poter sfondare. La mattina, mi alzo e sono allegro, faccio quello che mio piace e con entusiasmo. Non sono come altri che sognano Real Madrid o Barcellona, Ronaldo o Messi, cerco la mia felicità. Se guadagno qualche soldo in più meglio. Ma la mia vita è bella… Ho una moglie fantastica, una bambina magica, la piscina, gioco in A, ho soldi, tutto. Intanto, aiuto il Palermo a salvarsi. Non penso ad altro fino al termine della stagione». Più che sogni, traguardi. «Certo, come diventare capocannoniere in A. Essere il migliore, sempre. Del resto anche a carte con mia moglie o a palla con mia figlia, voglio solo vincere. Se sei il migliore, gli occhi saranno puntati su di te. Prima non avevo grandi squadre o soldi. Oggi sono in paradiso. Lo sono sempre stato dove ho lasciato il cuore. Qui a Palermo rappresento un simbolo, vivo bene, è la mia dimensione. Posso andare anche a Roma o a Torino ma se non gioco il fuoco si spegne». E le storielle della superstizione? «Una volta in Croazia segnai con le mutande blu e chiesi a mia moglie di conservarle solo per la partita. Se faccio gol, ripeto gesti e situazioni. Comunque debbo essere il primo ad entrare in campo. Contro il Napoli, ho preso un’omelette a colazione e ora continuo a farlo. Avevo promesso di tagliarmi barba e capelli se avessimo vinto contro il Crotone. Poi ci ho ripensato: vuoi vedere che va bene così? Martina non ha sentito ragioni: con voi in arrivo, dovevo presentarmi al top. In compenso sembro un ragazzo di diciotto anni … Sono del segno dei pesci, nessuno ci crede. I pesci sono tranquilli, io mi sento un coccodrillo. Carattere? Tu mi vuoi bene, io te ne voglio; tu mi vuoi male, io trenta volte di più». Il primo gol, il più bello, quello che vorrebbe segnare. E poi cos’è un gol? «Ricordo nella palestra indoor della scuola. Non avevo sei anni. Dribblai tutti, pure portiere. Il futsal mi è servito. Guardate i gol al Crotone e all’Atalanta. E con il Sassuolo l’assist di tacco a Quaison. Il più bello? L’avrei segnato a Buffon se non avessi preso la traversa. Mi resta quello in Zapresic contro Istra: palla a giro all’incrocio dal limite. Quello che vorrei segnare? All’ultimo minuto, decisivo, su rigore e col cucchiaio. Magari domenica… Il gol per me è gioia, Immaginate che prima, anche con un cinque a zero in tasca, se non segnavo, era come se non avessi vinto. Ora sono cresciuto. Totti urlava da ragazzino che il gol è come un bacio? Per me, lo scriva, è il sesso»”. Questo quanto si legge su “Il Corriere dello Sport”.