L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla questione riforma del campionato e sul tavolo delle trattative.
In Federcalcio hanno la sensazione che qualcuno stia trasformando il tavolo della riforma in un gioco dell’oca, dove per ogni passo in avanti c’è il rischio di farne due indietro, restare bloccati o ricominciare da capo. Ieri c’è stato il quinto incontro informale tra le componenti e tutti gli occhi erano puntati su Lorenzo Casini, il presidente della Lega Serie A, che due giorni fa ha espresso una posizione (dei club) che ha spiazzato tutti: la priorità della Lega non sarebbe più il documento economico-finanziario presentato da Gravina, ma il riequilibrio del peso politico tra le componenti.
Tradotto: al massimo campionato, motore del sistema professionistico e traino del movimento, il 12% sta davvero stretto, soprattutto se rapportato al 34% della Lega Dilettanti e al 17% della Lega Pro. Ragionamenti ai quali lo stesso Gravina aveva in realtà aperto… se non fosse che l’accordo del 13 febbraio prevedeva altro: rinviare l’assemblea straordinaria dell’11 marzo, quella che avrebbe tolto alle leghe il diritto di veto creando una frattura insanabile, a patto di approvare subito la parte economico-finanziaria della riforma.
SCONTRI. L’accusa che viene fatta alla Lega è di avere spostato il focus. Da qui i fastidi e le stilettate nei confronti di Casini al tavolo di ieri, dove qualcuno ha definito la sua posizione, insieme a quella di voler esaurire la questione format alla riduzione delle squadre in C, «una visione predatoria». In queste settimane di confronti più o meno duri (ieri un’ora e quaranta) è emersa l’influenza di Giancarlo Abete, ex presidente della Figc e numero uno della Lega Dilettanti. Ieri Abete ha detto – e lo ha fatto mettere a verbale – di avere il sospetto che l’urgenza del tema governance nasconda in realtà la volontà di frenare sulle riforme economico finanziarie. Il riferimento è alla famosa «distrazione di massa» di cui parlava Gravina? Nel dubbio, il presidente federale ha portato dei dati di confronto con altri Paesi europei: in Francia i professionisti in assemblea valgono il 37% ma sono rappresentati in consiglio solo per il 7%, in Germania per il 33% ma esprimono voti nel governo federale per il 26,7%, in Spagna le percentuali sono del 14,4% e 16,7% e in Inghilterra 14,2% e 25%. In Italia i “pro” mettono insieme il 34% e non vi è distinzione tra valore e voti, con la differenza che per modificare il peso elettorale basta intervenire sulle Noif in consiglio (maggioranza di 3/4) mentre per incidere sulla rapresentanza è necessario modificare lo statuto, e questo si può fare solo in assemblea. Insomma, non sarebbe così facile mettere mano alla questione e il tempo che ci vuole, oltre alla disponibilità (nessuna lega è disposta a cedere punti percentuali), porterebbe per le lunghe la questione principale: la “dieta economica” che entro il 2029-30 dovrebbe ripulire il sistema dai suoi stessi debiti.
CONTI. Secondo la Figc si possono inasprire alcuni parametri come l’indice di liquidità, cioè il rapporto tra attività e passività correnti, fissato oggi a 0,6, per il 24-25 a 0,7 e per il 25-26 a 0,8, e da portare progressivamente a 1, cioè all’equilibrio ideale di qualsiasi azienda. Allo stesso modo, l’indicatore di indebitamento dovrebbe trasformarsi in un rapporto tra debiti a medio-lungo termine e attivo fisso di 0,3 e l’indicatore costo del lavoro allargato scenderebbe a una soglia più sostenibile tra 0,65 e 0,7. Lega Pro e Dilettanti hanno già dato il loro benestare al documento della Figc, la Serie B attende l’assemblea del 5 marzo mentre la Serie A resta scettica sui contenuti. Il documento può essere approvato in consiglio, dove la A è in minoranza, e la sensazione è che Gravina possa tirare dritto a prescindere dal sostegno dei consiglieri Casini, Lotito e Marotta. Il 6 marzo l’ultimo tavolo, poi ogni proposta passerà all’esame del consiglio del 28.