L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul Napoli e su Insigne.
Il Maschio Angioino, San Gennaro, i presepi a San Gregorio Armeno, la pizza. E il rinnovo di Insigne. Ormai è arredo permanente della città. Un tormentone che va avanti stancamente da due anni. E che non si smuove da lì. Non fa un passo avanti, né uno indietro. Statico, immobile, come peraltro tanti fenomeni che riguardano Napoli. Città poco incline al cambiamento.
Da due anni Insigne e il Napoli si lanciano messaggi, ora di sfida ora languidi. Minacciano un futuro da separati. Proprio come quelle coppie che stanno insieme da una vita e che in fondo non ci credono neanche loro a un futuro con un partner diverso. Nessuno dei due, però, è disposto a fare il primo passo. Insigne è il capitano del Napoli. Se non la bandiera, è una delle bandiere. Ha segnato solo un gol in meno di Maradona. Vuole rimanere, ma pretende un trattamento da leader. O, a voler essere perfidi, un trattamento da Mertens che a trentatré anni è riuscito a strappare oltre quattro milioni netti a stagione. Lorenzo di anni ne ha trenta, trentuno a giugno.
A 33 anni e mezzo, Totti alla Roma firmò un quinquennale da circa cinque milioni netti a stagione. Va detto, però, che il paragone regge fino a un certo punto. Il rapporto tra il Pupone e la sua gente è stato decisamente più simbiotico. All’Olimpico fischi al Capitano non se ne ricordano. Così come, al momento, è arduo immaginare una festa d’addio di Insigne con lo stadio pieno e adulti e bambini che piangono lacrime come se il mondo non avesse un domani.
Insigne piace a una discreta fetta della tifoseria. Ma è anche guardato con diffidenza da altri. È divisivo. La piazza gli perdona poco, forse proprio perché napoletano. Non è una divinità indiscutibile.