L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul caso Bergamini.
Due bandiere rossoblù portate da un gruppetto di ultrà davanti al tribunale di Cosenza: è iniziato così ieri mattina, davanti ai giudici della Corte d’assise, il nuovo processo per la morte di Donato Bergamini detto “Denis”, il calciatore del Cosenza trovato senza vita a 27 anni il 18 novembre 1989 sulla statale 106 jonica all’altezza di Roseto Capo Spulico, al confine tra Calabria e Basilicata, mentre invece doveva essere a 100 km di distanza, al cinema con i compagni di squadra in un sabato di vigilia casalinga del campionato di B.
Si parlò di suicidio sotto un camion, davanti alla fidanzata, anche se il corpo era intatto: un’ipotesi respinta dai familiari e dall’intera città di Cosenza. Il primo processo, per omicidio colposo, finì con l’assoluzione del camionista. Ma a distanza di tempo le indagini sono state riaperte per ben due volte e ieri, dopo 32 anni, in aula c’era l’unica imputata, l’ex fidanzata del calciatore, Isabella Internò, accusata di concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. «Finalmente!», ha sospirato all’ingresso del palazzo di giustizia l’avvocato Fabio Anselmo, il legale della famiglia Bergamini già diventato famoso per i processi Aldrovandi e Cucchi (tra l’altro è il compagno di Ilaria Cucchi). Morto il papà di Denis dopo tante battaglie per il figlio, assente la sorella Donata, a rappresentare la famiglia da Boccaleone d’Argenta, nel Ferrarese, è arrivato a Cosenza il figlio di quest’ultima, Denis Dalle Vacche, anche lui piuttosto deciso: «Era ora! Sicuramente c’è tanta rabbia, è un omicidio, per favore non chiamatelo più suicidio, era un caso semplicissimo che poteva risolversi 32 anni fa. Per fortuna il cadavere ha parlato». Per poi aggiungere, all’uscita: «La Internò? L’ho vista in aula, avrei voluto chiederle come le è cambiata la vita con la morte di mio zio…».