L’emergenza Coronavirus ha mandato in tilt il mondo del pallone e ha fermato tutti i campionati. Adesso però, il campionato di Lega Pro potrebbe subire le conseguenze maggiori. L’edizione odierna del “Corriere dello Sport” fa il punto della situazione sul torneo di Serie C. Francesco Ghirelli, presidente della Lega Serie C ha il compito di salvare il campionato, queste le sue parole al termine dell’assemblea: «E’ stata una assemblea di fortissime emozioni. Durata quattro ore, tantissimo. Mi creda, non c’è stato un istante di vuoto o la leggerezza. La C è una famiglia, la famiglia d’Italia, e questa famiglia lancia un grido di dolore che non può cadere nel vuoto. Crema, Brescia, Bergamo, Piacenza: l’elenco delle nostre città in piena zona emergenza è lungo. Racconti di lutti strazianti. Mentre parlava, al presidente della Pergolettese è arrivata la notizia dell’ennesima scomparsa. E tutto questo viene necessariamente prima dell’altro problema, direttamente conseguente ma che da solo basterebbe per creare una asperità invalicabile, ovvero i guasti di sistema, economici, sociali, finanziari, che le mie società non possono più affrontare».
L’assemblea di ieri ha dato a Ghirelli il mandato «A rappresentare al presidente federale Gravina, non solo tutte le difficoltà che si prospettano davanti al nodo se e come riprendere la stagione». Ma si può, concretamente, riprendere a giocare? E quando? «Esiste una filiera di comando. Vista la problematica, gli esperti di scienza devono dire la prima parola, poi vengono le autorità di Governo, la Figc, quindi la Lega e le società. Certo, quando i presidenti del centro-nord mi prospettano una situazione come quella disegnata, come si fa a vedere la luce?». No, il buio è pesto. «Io sono quello che nel nome della salute ha bloccato tutto il 21 febbraio, in anticipo sul resto del calcio. Mai e poi mai permetterei che si tornasse a giocare se non fosse assolutamente certo il fattore salute. Razionalmente, uno deve chiedersi: come garantire la salute in un simile contesto? Prendendo misure di tutela che si suppone dovrebbero avere anche un costo? E lì siamo già oltre il confine del possibile». Si arriva al secondo nodo, meno importante della vita umana certo ma comunque dirimente. Spiega Ghirelli: «La stragrande maggioranza dei miei club è retta da proprietà appartenenti al tessuto imprenditoriale del posto, di piccola o media dimensione. Tanti di questi presidenti hanno l’acqua alla gola per le loro imprese, per i loro dipendenti: le pare che possano avere la forza per andare oltre questa crisi mettendo altri soldi nel calcio?». Impossibile. «Loro hanno bisogno di segnali urgentissimi, di appigli cui aggrapparsi altrimenti le rispettive realtà cadranno e trascineranno tutto. La C non è soltanto calcio. È anche un presidio sociale, nei propri territori». Sul tavolo arrivano – o tornano in modo più accorato – due strumenti: cassa integrazione e un decreto salva calcio, con introduzione di voci attive come ad esempio una percentuale sulle scommesse sportive. Ghirelli non entra nel merito, ma ammette: «Ne abbiamo parlato. Anche se non sappiamo se si tornerà a giocare davanti alla paura di chi opera nelle zone più colpite dal virus, l’ipotesi di portare avanti il campionato non potrebbe essere svincolata da una soluzione al dramma economico dei club. Detto più chiaramente: che si torni a giocare o no, se non arrivano soluzioni di salvataggio del sistema, una larga fetta dei miei club non riuscirà a restare in piedi. E questo avrebbe conseguenze per tutto il campionato». Il calcio deve ritrovare in fretta compattezza non soltanto fra singole categorie ma anche fra tutte le componenti. Inclusi arbitri, allenatori e, soprattutto, giocatori. «Mi rendo conto che sentire cose tipo cassa integrazione possa far preoccupare, ma se crolla il castello il conto da pagare sarà ben più salato per tutti».