Corriere dello Sport: “Mister Longo: «Frosinone, avrai la taglia giusta»”
“Moreno Longo, prima dell’ultima giornata di campionato aveva quarantadue anni. Quanti ne ha adesso? «Credo intorno a sessanta». Promossi a un minuto dalla fine del campionato e d’improvviso ecco davanti i playoff da scalare. Come ha fatto a tenere in piedi i giocatori? «Non è stato semplice, lo ammetto. Prima di tutto dev’essere l’allenatore a risvegliarsi dalla trance. Andare a cercare dentro di sé la forza, la lucidità, l’energia. Se non le ritrovi davvero, non riesci a trasmetterle ai giocatori. Si accorgono che menti, non ti danno più retta». Si dice che i calciatori siano libri bianchi da scrivere. «Lo sono. Perché stanno attenti e assorbono. Ma sono anche persone intelligenti con un bel carico di esperienze e conoscenze. In due minuti ti hanno pesato e se li perdi non li recuperi più». Dunque prima di cominciare i playoff è riuscito a ricostruire la fiducia dei suoi. E tanto è bastato per la promozione. «No. Ho dovuto ripensare la squadra sotto l’aspetto tattico. C’erano anche le assenze: Ciofani, Ariaudo, Paganini, Brighenti, Maiello. Gli ultimi due recuperati solo per l’ultima partita con il Palermo, e infatti si è visto quale contributo di qualità abbiano portato. La soluzione era una soltanto, per entrambi i problemi: compattezza». Che poi significa giocare come non le piace. Attenzione e pochi spazi. In altre parole, difesa e contropiede. «Non esattamente. Certo, il Frosinone dopo la partita con il Foggia è stato diverso dal Frosinone della stagione regolare. Certo, il calcio che vorrei è tenere in pugno la partita, attaccare e proporre. Ma io credo che il mestiere dell’allenatore richieda agilità mentale. Hai un certo numero di giocatori e devi sapere che cosa puoi ottenere dall’uno e dall’altro. Non posso chiedere a Gori di fare il lavoro di Maiello davanti alla difesa e non posso pretendere da Maiello quello che fa Gori». D’accordo. Ma adesso che lei è arrivato in Serie A quale versione del Frosinone dobbiamo aspettarci? «La risposta non cambia. Abbiamo visto quante diffi coltà incontrano le neopromosse negli ultimi anni. Di certo vorrò vedere una squadra consapevole della sua dimensione ma che non rinunci a prendere in mano le situazioni ogni volta che sarà possibile. Sa come ho descritto la figura dell’allenatore nella mia tesi di Coverciano?». No, come? «Un manager con capacità sartoriali. Più vado avanti e più mi convinco che, modestamente, sia una defi nizione azzeccata. Il mio mestiere consiste nel trovare il bandolo delle matasse più complicate e nell’individuare la taglia giusta per ogni cliente». Ci vuole un mucchio di passione per preparare ogni partita come fosse un vestito su misura. «Sarà che da giovane mi ha strozzato la carriera di calciatore un infortunio ai legamenti. Mi è rimasta dentro una voglia di campo che ventiquattro ore al giorno non bastano a placare». Battuto il Palermo, si è anche commosso. Chi la conosce è rimasto sorpreso dalla sua reazione. «Era la fine, la fine più felice, di una stagione tremenda. Avevamo attraversato qualsiasi cosa e ne eravamo usciti salvi. Dietro i giornalisti c’erano le mie tre figlie, che sapevano tutto di quanto ci era successo. Non mi sono trattenuto. Non ce n’era motivo». E adesso che cosa vorrebbe in premio? «Ho detto tempo fa che se fossi riuscito a ottenere la promozione mi sarebbe piaciuto un altro fi glio. Un maschio, se possibile, in modo da avere un voto a favore nelle questioni di casa. Temo però che mia moglie Monica non sia d’accordo. Mi accontento della Serie A .Lo scorso anno ho lasciato la Pro Vercelli, società della quale non posso che dire bene, è proprio perché avvertivo l’ambizione personale di misurarmi con qualche obiettivo più ampio. E sapevo che Frosinone sarebbe stato il posto giusto. Finora ho avuto la fortuna di meritarmi ciò che ho ricevuto, con i risultati. Come ex giocatore avrei potuto alzare il telefono e cercare, pretendere quasi, un posto in una società professionistica. Ma non è nel mio carattere. Sono troppo riservato. Forse c’entra il fatto di essere torinese di famiglia meridionale. Ho cominciato con i giovanissimi del Filadelfi a Paradiso di Collegno. Ammetto che da allora tutto ha preso a marciare molto velocemente». Quando la Roma vinse lo scudetto del 2001 Capello si mise a buttare fuori a mani nude gli spettatori che avevano invaso il campo prima della fine della partita decisiva. Contro il Palermo ha avuto la tentazione di farlo anche lei? «Circostanze molto diverse. Quando Ciano ha segnato il secondo gol l’arbitro ha segnalato chiaramente che la partita era fi nita. E il pubblico è entrato. Altrimenti ci si sarebbe messa tutta la panchina a tentare di far riprendere il gioco». Torniamo a quando aveva quarantadue anni. Fosse stato un giocatore del Foggia, avrebbe cercato quel gol che vi ha tenuti appesi a un filo? «Penso proprio di sì. Floriano aveva il compito di segnare, anche se in fi n dei conti alla sua squadra non serviva. Ha segnato. Se vogliamo uscire dalle logiche che hanno governato per tanti anni il calcio italiano dobbiamo tutti comportarci così». Ha dovuto spiegarlo ai suoi giocatori? «Non ce n’è stato bisogno. E francamente in quel momento pensavamo a quanto eravamo stati stupidi»”. Questo quanto riportato dall’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.