Corriere dello Sport: “Missile su Jeddah paura in Formula 1. Domenicali: «Qui siamo al sicuro, non ci saranno cambiamenti»”
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul missile su Jeddah durante la Formula 1.
Un a colonna di fumo enorme, minacciosa, a ventidue chilometri dalla pista di Jeddah. Le prime ricostruzioni hanno subito individuato la causa: un missile lanciato dai ribelli yemeniti Huthi che ha colpito il sito di stoccaggio di Aramco. L’impatto è avvenuto durante la prima sessione di libere della Formula 1. Il cielo si è fatto nero, scurissimo, mentre le macchine stavano girando. La nube di fumo era visibile dall’ultima curva. Via radio, Max Verstappen, aveva avvisato i box: «Sento odore di bruciato, non so se viene dalla mia macchina o da un’altra parte». Una volta diffusasi la notizia, anche nel paddock è scattata l’allerta. Le alte cariche della FIA – il presidente Mohammed Bin Sulayem e il Ceo Stefano Domenicali – si sono attivate immediatamente per capire la situazione. Dopo la prima sessione di libere, tutti i team principal e i piloti hanno voluto conoscere la situazione e avere rassicurazioni sulla sicurezza. Una riunione improvvisata nell’area hospitality, coordinata dallo stesso Domenicali. Che attorno alle 20.30 saudite ha dichiarato a Sky: «Quanto è sicuro stare qui? Siamo tutti qui, quindi è sicuro».
TEAM E PILOTI. Nel frattempo, però, la raccolta informazioni all’interno dei paddock ha convinto i protagonisti a riunirsi di nuovo alla fine della seconda sessione di libere. Le monoposto sono dunque tornate in pista per la seconda sessione di prove con 15 minuti di ritardo sul programma. Dopo la seconda riunione, durata 40 minuti, è stato Toto Wolff, team principal della Mercedes, a rilasciare alcune dichiarazioni. «Siamo in una zona in cui siamo al sicuro e siamo protetti – ha detto a Sky – abbiamo parlato con il ministero dello sport. Io ho deciso per me e per la mia famiglia di rimanere qui per fare le gare. Questo è probabilmente il posto più sicuro in Arabia Saudita al momento». E ancora: «I piloti possono prendere una decisione da soli, è così, siamo in una democrazia». E lo stesso ha fatto sapere il team principal della Red Bull, Christian Horner: «Penso che lo sport debba mostrare unità. Qualsiasi atto di terrorismo deve essere condannato e lo sport non dovrebbe essere messo in una situazione del genere. Non è accettabile». Domenicali ha informato team principal e piloti che «il fine settimana si svolgerà come previsto» e che «la sicurezza è stata una priorità per le autorità». Tutti e dieci i team principal si sono definiti concordi nel continuare il secondo weekend stagionale anche di fronte all’apertura da parte dei vertici della F1 di prendere una decisione libera. Diverso il discorso dei piloti: il fronte non è per niente unito e alcuni sarebbero contrati a scendere in pista oggi. Il confronto è andato avanti a lungo, oltre la mezzanotte locale, e si sono aggiunti anche Domenicali e Ross Brawn.
ATTACCHI. Secondo i media locali, l’incendio sarebbe stato provocato da un attacco dei ribelli yemeniti Huthi, che già la scorsa settimana avevano preso di mira la compagnia petrolifera, importante sponsor anche del circus e della Aston Martin. “Arab News” ha fatto sapere però che non ci sarebbero vittime e che l’incendio sarebbe sotto controllo. Un attacco che arriva a cinque giorni di distanza dall’ultimo. Sempre secondo il sito di informazione arabo, infatti, la flotta aerea dell’Arabia Saudita sarebbe intervenuta e avrebbe distrutto sette droni e un missile. Dopo gli attacchi, il leader del gruppo, Abdel-Malek al-Houthi, ha tenuto un discorso dal vivo su un canale allineato agli Huthi. Attribuendo la colpa dei sette anni di guerra civile del paese agli Stati Uniti, dicendo che l’Arabia Saudita è semplicemente l’«esecutore testamentario». I ribelli Huthi sostenuti dall’Iran hanno preso il controllo della capitale dello Yemen nel 2015, ma una coalizione guidata dai sauditi ha lanciato subito un intervento militare per ripristinare il governo riconosciuto a livello internazionale del paese. Da allora la guerra si è trascinata, provocando una grave crisi umanitaria e una fame diffusa.