L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma su quanto accaduto nelle giovanili dell’Avellino.
Se questo è calcio… Perché ci sono cose che voi uomini, che neanche Ridley Scott, che in questo pazzo, pazzo mondo, in cui spesso tutto va all’incontrario, trasformano il pallone in un vuoto a perdere da starne alla larga. «La frase è quella». Avellino-Viterbese del campionato Under 17 di domenica scorsa è l’ultima frontiera oltre la quale smarrirsi, ponendosi una serie di interrogativi (chi siamo? E dove stiamo andando a finire?) ma standosene con le mani nei capelli e l’idea che al peggio seriamente non ci sia mai fine.
«Mi ha urlato: ti taglio la testa. E poi l’ha ripetuto dopo, ed altri l’hanno sentito e me lo hanno riferito». Quando una partita sta per finire, uno psicodramma sta per cominciare e una indagine può dirsi formalmente aperta con la denuncia presentata ieri in Procura: Giuliano Capobianco è il responsabile del settore giovanile dell’Avellino, verso il quale un papà aggressivo s’accanisce strillandogli addosso la propria rabbia per aver visto il figlio restare in panchina.
E’ la scena madre di un pomeriggio d’un giorno (a)normale, l’ennesima puntata di un serial che nel tempo ha avuto altre immagini scioccanti. «Bisognava metterci un punto, perché in due-tre anni ne sono successe…Questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso e minimizzare non si può, né si deve. Non voglio sentirmi vittima, non interpreto certo il ruolo da carnefice, ma è necessario fermarsi a riflettere, tutti, genitori compresi, affinché si viva diversamente questa stagione della vita dei loro figli». Alla Digos, che l’ha sentito lunedì pomeriggio, Giuliano Capobianco ha riferito ciò che gli è capitato, il clima che si vive negli stadi dove si dovrebbe cogliere un’ora e mezza di purezza, quando invece vengono giù dagli spalti accuse e insulti che poi trovano il loro (ormai) naturale megafono sui social. «Ce ne dicono di tutti i colori, perché saremmo colpevoli di lasciare troppo spazio a giovani calciatori che vengono da altre città e rubando quindi possibilità per i ragazzi di Avellino. Ma il calcio nel Terzo Millennio, in una società del genere, non può restare confinato dentro schemi antiquati; né ignorare la meritocrazia. In campo ci vanno i più bravi, gli allenatori hanno la sacrosanta libertà di scegliere in autonomia».
Mentre il venticello calunnioso che spira dal Terminio sommerge di insinuazioni che in questo calcio emergono a giorni alterni ed allungano talvolta ombre da scacciare via: il babbo che pagherebbe, quello che “sponsorizzerebbe” il figlio, un brusio che si avverte da Piazza Libertà in su. «Resto nauseato dinnanzi a certe illazioni. Sono tre anni, da quando c’è questa nuova gestione, che siamo proiettati a ricostruire il settore giovanile. Da noi non esistono contributi economici, mazzette, intrugli ma solo la passione di fare qualcosa per il territorio.
Il premio è il campo. Io voglio comprendere l’amarezza di un padre, ma certe vicende non possono accadere. Si può sbroccare, arrivo persino a pensare questo, ma qui invece si sono toccati livelli inaccettabili». Che hanno spalancato le porte della Procura, dove c’è una cartellina azzurrina aperta, con dentro le dichiarazioni che Capobianco ha offerto alla Digos: querela di parte che va a gravare su quella sensazione amara d’una Provincia, sulla quale sfila – alle spalle – la tramontana di un gelido autunno capace di rovinare ogni sogno dei diciassettenni.