L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sull’attacco di Roberto Mancini.
Non ci resta che vincere. Almeno in Nations League. E ancora con Ciro Immobile, al rientro da marzo, unico attaccante dai numeri insindacabili a disposizione, oggi come uno, due, tre, quattro anni fa, sopravvisuto a una crisi di vocazioni del ruolo e di scelte strategiche dei club che hanno prodotto il grande nodo tecnico-tattico azzurro, come ammesso chiaramente da Roberto Mancini: «Sicuramente quel che sta accadendo è anomalo. Purtroppo le grandi squadre da tempo hanno tanti attaccanti stranieri. L’unico che resiste è Immobile. Speriamo non si tratti di un processo irreversibile e che presto possano uscire due o tre attaccanti che diano un futuro alla Nazionale. Perché questo non è certo un problema piccolissimo…». Insomma Ciro è la sola soluzione disponibile attualmente. E con questa “denuncia” il ct ha riaperto Coverciano, riprendendo il filo del discorso, interrotto a giugno nella nottataccia contro la Germania.
PROGRAMMA. Nel mentre, che fare? Battere l’Inghilterra in lutto, venerdì a Milano, e andare, lunedì 26 post voto, a espugnare l’Ungheria. Cercando di bissare così il successo dell’autunno 2020, evitando comunque di retrocedere in B, come rischiano in questo momento gli inglesi. Del resto, la NL è l’unico obiettivo possibile di un 2022 da dimenticare per la Nazionale. Non ci resta che vincere, si diceva. In realtà, sportivamente parlando, ci sarebbe quasi da piangere, a due mesi esatti dall’inizio del prossimo mondiale, edizione numero 22, con l’Italia ferma alla 20ª: «Ci aspettano mesi durissimi, di qui a Natale» ha ammesso ieri, con chiara malinconia, il nostro ct, pensando a quel che ci attende moralmente quando in Qatar inzierà a ruzzolare il pallone iridato e noi saremo, lo stesso 20 novembre al Prater di Vienna in amichevole “televisiva” contro l’Austria, dopo aver affrontato friendly l’Albania a Tirana il 16, per la gioia soprattuto dell’inossidabile Edi Reja.
Il fatto è che per certi versi la situazione attuale è ancor più scivolosa rispetto al settembre 2018, quando Mancini iniziò con entusiasmo a costruire sulle macerie svedesi la sua creatura che avrebbe poi portato trionfalmente in cima all’Europa quasi tre anni dopo. «Ci sono ancor meno azzurrabili di allora» ha ricordato con un sorriso sardonico il ct, riferendosi alla percentuale di italiani convocabili ormai ridotta intorno a un terzo del totale. Simbolo la bella Udinese rivelazione con ridottissimo apporto indigeno. Un dato “macroeconomico” che sembra non interessare più alcuno, come il poco spazio riservato ai nostri under o i “piedi” in fuga verso altri campionati. Fattore, almeno questo, letto positivamente dal commissario tecnico: «Andare a giocare all’estero ti può aiutare, la speranza è che i nostri ragazzi possano disputare anche tante partite». Magari si potrebbe cercare, come sistema calcio, di riprendere il discorso delle seconde squadre, messo in atto solo dalla Juventus, che in questo momento proprio su questo fronte può vantare le uniche note positive, con la crescita di Miretti e Fagioli: «In effetti questo tipo di percorso potrebbe aiutare. Miretti era in Under 23 un paio di anni fa e ora è titolare nella Juve» ha certificato il ct. Ansioso, come detto, di avere soprattutto nuovi attaccanti a disposizione. Senza illudersi di poter affrettare i tempi, per esempio, con Scamacca, appena sbarcato in Premier: «Come gli ho detto, gli ci vorranno alcuni mesi per capire quel campionato difficile. Ma il tempo è dalla sua parte». Tempo che Mancini vorrebbe riannodare a quello esaltante del suo primo ciclo: «Dobbiamo ritrovare entusiasmo e quella spinta deve darcela il fatto che abbiamo vinto il campionato d’Europa. Dobbiamo ripartire da questo! La nostra è una strada in salita, magari cercheremo ragazzi in B. Sapendo che fino al 2024 i campioni europei restiamo noi».