Corriere dello Sport: “L’Arabia sfida l’Europa. Operazione sorpasso: «Il futuro? È già nostro Non siamo così lontani dalla Premier: stiamo arrivando»”

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” ha stilato un lungo articolo sull’Arabia Saudita che sfida l’Europa e l’operazione sorpasso.

A Riyad il clima infuocato, le tempeste di sabbia e i richiami alla preghiera lanciati dal muezzin scandiscono ancora il tempo, indicando alla sua gente quando è ora di fermarsi per rispettare il volere di forze superiori. Guardi dal basso questa megalopoli di 8 milioni di abitanti, perdendoti tra le sue vie caotiche, e pensi che il cambiamento arabo somiglia a un gigante addormentato. Poi osservi i grattacieli tra Tahlia Street e King Fahd Road e lì ti rendi conto, viceversa, che il futuro è già presente. La capitale del regno saudita presenta un cocktail di tradizione e modernità che vede il calcio come radice dei popoli e al tempo stesso motore dello show business. Sbaglia chi considera questi investimenti come un assalto all’Europa: non vogliono colonizzarci, vogliono superarci.

Il calcio attinge a piene mani dal public investment fund, un pozzo senza fondo che nel 2025 punta a superare 900 miliardi di portafoglio investendo in resort di lusso, social media, banche, ristorazione e sport. Gli arabi vogliono Expo 2030, inizialmente hanno strizzato l’occhio al Mondiale di calcio lasciando campo poi libero al Marocco e continuano a organizzare manifestazioni di rilievo, dalla Supercoppa Italiana (a gennaio si giocherà nuovamente a Riyad) a quella spagnola, passando dalla 20ª edizione del Mondiale per Club a dicembre. Il fondo sostiene direttamente le due principali squadre di Riyad, Al-Hilal e Al-Nassr, e le due di Gedda, Al-Ahli e Al-Ittihad, elargendo contributi alle altre 14 (dislocate tra Abha, Najran, Dammam, Al Hasa, Al Majma’ah, Al Rass, Saihat, Burayda, Ha’il, La Mecca e Khamis Mushait) con un calciomercato “centralizzato” che prevede la compilazione di form per segnalare i profili da acquistare e poi l’invio dei bonifici da parte della Saudi Pro League. I club hanno speso in poche settimane oltre 1 miliardo tra cartellini e ingaggi.

Basta pensare ai 60 milioni per acquistare Malcom dallo Zenit, ai 100 milioni annui elargiti di stipendio al pallone d’oro Benzema o ai 18 milioni che rendono Gerrard, tecnico dell’Al-Ettifaq, il secondo allenatore più pagato del globo dietro Guardiola. Questi sceicchi non comprano club e, al netto dell’esperimento Newcastle, non sono intenzionati a portare fuori le risorse: vogliono investire negli asset del Paese, facendo crescere il loro prodotto. La SPL oggi è il 4° torneo per soldi spesi nel calciomercato: 495 milioni, preceduta solo da Premier (1,8 miliardi), Serie A (668 milioni) e Ligue1 (554). Non va dimenticato infine l’impulso dato dalla Nazionale. L’entusiasmo generato dal successo contro l’Argentina di Messi ai Mondiali, oggi visibile nei sold out dentro gli stadi, è stato per la famiglia reale il termometro più efficace per misurare gli effetti di questa rivoluzione.

«Avete visto la linea d’attacco dell’Al-Ahli? In Inghilterra potrebbe giocherebbe in un top club, in Italia lotterebbe per lo scudetto». Parola di Michael Emenalo, ieri uomo mercato del Chelsea di Abramovic e oggi gran visir della Lega Araba. La Saudi Pro League è andata a prendere il suo “director of football”, un direttore tecnico plenipotenziario che ha lavorato negli anni con Ancelotti e Mourinho, direttamente in Premier League. Perché l’obiettivo dei sauditi – avvicinandosi alla meta un milione dopo l’altro – è imitare il modello britannico fatto di spettacolo, ricavi, interesse e fidelizzazione del pubblico.

Emenalo, quanta distanza c’è oggi? «Abbastanza, ma non troppa. Interesse dei media, ricavi commerciali, sponsor, stadi pieni, fusione di calciatori internazionali nelle rose. In Inghilterra c’è tutto questo, noi ci siamo messi in cammino e stiamo arrivando»

Con un miliardo già investito sul mercato la strada appare abbastanza in discesa. «I soldi non sono tutto. Per la prima volta il popolo saudita ha a che fare con questo genere di campioni e nonostante la grande passione popolare ci sono dei passi da compiere per rendere questo show strutturale e duraturo nel tempo. Nel suo esordio in campionato l’Al Ahli ha schierato davanti Mahrez, Boudebouz, Saint-Maximin e Firmino, con Kessie a centrocampo e Mendy in porta. In Europa tante squadre invidierebbero questo roster».

Cosa si sta facendo per far crescere anche giocatori locali? «Con la federazione c’è una strategia consolidata. Per il bene di tutti, la Nazionale deve diventare fortissima. Stiamo chiedendo ai club, con i soldi che arrivano dal governo, di implementare le Academy, dare spazio agli under 25 e migliorare i centri sportivi. I campioni possiamo prenderli subito, per avere giovani forti bisogna seminare ora e raccogliere domani».

Quali mansioni svolge un direttore del calcio in Saudi Pro League? «Collaboro con gli allenatori, do suggerimenti tecnici, sviluppo in sinergia coi club il reclutamento sul territorio e faccio in modo che dal punto di vista tecnico migliorino certi processi».

Cina e Russia sono i modelli da evitare? «Penso di sì. Noi non saremo un fuoco che brucia velocemente. Negli ultimi 7 anni, lontano dai riflettori, qui hanno lavorato per porre delle basi solide. I media hanno acceso i loro fari dall’arrivo di Ronaldo. Ma in Arabia Saudita costruiscono le fondamenta dal 2016. Il fenomeno durerà e diventerà sostenibile».

Sostenibile? In Europa non ci crede nessuno. «In Europa hanno sperperato risorse per decenni e ora si scandalizzano perché l’Arabia Saudita compra i migliori. Fidatevi, tra non molto le società spenderanno ciò che incassano, incassando molto».

Quattro squadre sono di diretta emanazione del governo, altre 14 vengono aiutate ma contano di più sulle loro forze. Il sistema non crea disparità? «Non penso sia un problema che ci siano 4 squadre finanziate dal Pif. Anche in Europa ci sono differenze sostanziali tra le squadre di prima fascia e le altre. Qui le altre hanno accettato la sfida, sanno che da loro dipende la crescita dell’intero movimento perché ci aiuteranno a strutturare la base. In questo Paese c’è un forte senso di responsabilità, c’è una visione comune».

Torniamo ai soldi spesi per i campioni. Non sono troppi? «Questi ragazzi sono artisti, fanno felici le persone. Prendono tanti soldi, è vero. Ma rapportati al mercato di oggi, e alle potenzialità della famiglia reale saudita, non ci sono grosse differenze rispetto agli acquisti e agli stipendi del calcio europeo di dieci anni fa».

Da nigeriano, le piacerebbe portare in Arabia Saudita anche Osimhen? «Certamente sì. Per me è un grande, lo amo. Sono sicuro che in Arabia Saudita si troverebbe a meraviglia. E sono certo che il Napoli se dovesse cederlo se la caverebbe, supererà la cosa e potrà trovare un altro nigeriano altrettanto forte».

Campionati come la Serie A rischiano di diventare subalterni? «Non credo. Le grandi leghe come quella italiana non devono essere preoccupate per la perdita di prestigio. Al tavolo c’è posto per tutti. Di sicuro la SPL vuole diventare un punto di riferimento mondiale».

Cosa c’è nel futuro del calcio arabo? «Il futuro è già qui».