L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla serie A e le pretese della Figc.
La strada era già tracciata, l’epilogo inevitabile: il 4 novembre il calcio andrà alle urne non per eleggere il nuovo presidente federale ma per votare in assemblea una riforma dello Statuto che andrà a ridisegnare radicalmente i rapporti di forza fra leghe e componenti. In ballo c’è il peso politico al momento del voto e la conseguente rappresentanza in Consiglio Federale. La ratifica arriverà lunedì in CF, ma la logica e la logistica fanno supporre che la data di convocazione dell’Assemblea resterà quella del 4 novembre, con la sola modifica dell’ordine del giorno. Ci saranno tre mesi abbondanti, ferie d’agosto incluse, per trovare una convergenza su una proposta in grado di raccogliere i voti necessari (il 50% più uno) per l’approvazione. Con un paradosso tutt’altro che trascurabile: si andrà alle urne con le regole attuali per dare al professionismo quel 50% di peso elettorale che oggi non ha. Servirà un abile lavoro diplomatico per trovare un’intesa da qui a novembre. Se la missione avrà successo, quando si tornerà a votare per scegliere il presidente federale, non prima di gennaio 2025, lo si farà con una nuova legge elettorale.
LO SCENARIO. C’era un solo tipo di accordo possibile all’interno del CF senza il passaggio in assemblea: lasciare che la somma dei voti di Serie A, B e Lega Pro continuasse a fare 34%, il che avrebbe significato far scendere la Serie C dal 17% al 9% per far salire la A dal 12% al 20%, lasciando la B all’attuale 5%. Una soluzione che avrebbe solo scontentato tutti, perché l’obiettivo della Lega Serie A è chiaro: portare il mondo del professionismo al 50%, garantirsi una maggiore autonomia e un “diritto d’intesa”, cioè la possibilità di bloccare qualunque riforma che riguardi la A senza il parere positivo dei club. Nel nuovo bilanciamento dei pesi elettorali, la Serie A vorrebbe il 35%, con l’altro 15% da ripartire tra B e Lega Pro. La sfida è doppia: da una parte andrà trovata un’intesa con le altre due leghe professionistiche; dall’altra andranno racimolati fuori da questo perimetro i voti necessari per approvare la riforma. Per riuscirci, evidentemente, va costruito un percorso condiviso: per portare a casa ciò che vuole, la A dovrà dare qualcosa in cambio. Alla B, che ha bisogno di incidere di più per poter mettere sul tavolo le proprie richieste. E alla Lega Pro, che auspica un dialogo costruttivo con le altre leghe e componenti tecniche e che vuole sostegno per la “riforma Zola”, incentrata sulla valorizzazione dei giovani.
LA RIUNIONE. Non potendo muoversi al di fuori della cornice del 34% con una semplice delibera del CF, il passaggio in assemblea per una modifica dello statuto (che recepisca anche l’emendamento Mulé) è diventato dunque una scelta obbligata. La decisione del presidente Gravina è stata accolta con serenità da tutti, a partire dal presidente della Lega Serie A, Lorenzo Casini: sa bene che è l’unico modo per i venti club di A di ottenere ciò che vogliono. Alla riunione hanno partecipato Balata (Lega B), Marani (Lega Pro), Abete (LND), Calcagno (Aic), Pacifici (Aia); in collegamento c’era anche Ulivieri (Aiac). Non ha partecipato il ministro dello sport Abodi che aveva già portato avanti i colloqui con tutte le parti coinvolte.