L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla Juventus e il ricorso presentato per il – 15.
Altro che punta di fioretto e di diritto, quella della Juventus sarà una difesa a spada tratta. Convinta e caparbia, volta a ribaltare completamente il -15 inflitto dalla Corte federale lo scorso 20 gennaio per il caso plusvalenze. Nove i motivi del ricorso, approfonditi in un fascicolo di cento pagine di cui siamo entrati in possesso e che la Juve ha consegnato martedì sera al Collegio di Garanzia presso il Coni. La società bianconera tenterà di vincere la partita giuridico-sportiva più importante prima di rivolgersi eventualmente al Tar (in attesa di tornare sul banco degli imputati per la “manovra stipendi” e per le “partnership opache” con nuovi processi) e cancellare quindi l’asterisco in classifica, che al momento la allontana dalla zona Champions. La Cassazione dello Sport ha ricevuto il faldone, ora dovrà stabilire la data dell’udienza (a sezioni unite) che, in qualsiasi caso, cambierà per sempre la storia recente del nostro calcio.
CONTROMOSSA. I 9 punti degli avvocati Bellacosa, Sangiorgio, Clarizia e Paolantonio suonano come una contromossa studiata nei minimi particolari. Si parte, ovviamente, dal principio: la revocazione, secondo la Juve, doveva essere dichiarata inammissibile. La Corte d’Appello presieduta da Mario Luigi Torsello ha riaperto la partita dopo i due proscioglimenti del 2022 (15 aprile il Tribunale Federale e 17 maggio la stessa Corte d’appello) sulla base dell’art. 63 del codice di giustizia sportiva della Figc, mentre secondo la Juventus tale norma è «inapplicabile alla fattispecie» con l’unica possibilità revocatoria riferibile al codice del Coni. In ogni caso, gli elementi ritenuti “nuovi” e “sopravvenuti” non sarebbero comunque decisivi – dice la Juve – per stravolgere la precedente sentenza di primavera.
La seconda questione riguarda la violazione del cosiddetto “thema decidendum”: un conto sono le singole operazioni, che la procura Figc nelle sue indagini ha definito “fittizzie”, chiedendo in primo grado un’ammenda per la società di 800 mila euro (e non punti di penalizzazione), un altro è il “sistema fraudolento” che la Corte a fine gennaio ha individuato e messo nero su bianco nelle motivazioni; in sostanza, la Vecchia Signora ritiene di essere stata accusata di un fatto e di essere stata poi condannata per altro, incluse delle «operazioni mai contestate dalla Procura Federale come l’operazione Pjanic-Arthur». Terzo punto: la Corte avrebbe trascurato le spiegazioni offerte dai dirigenti del club durante il dibattimento. Quella che i giudici hanno definito «una impressionante mole di documentazione» si risolve, per gli avvocati della difesa, in un appunto di Cherubini «interpretato prescindendo dalle spiegazioni fornite dal suo stesso autore» e in «frasi isolate ed estrapolate dal contesto tratte da brogliacci parziali di intercettazioni».
DIFESA. «Ci avete contestato un illecito non previsto dall’ordinamento sportivo» è il quarto punto. La condanna si fonda su un’intenzionalità dei deferiti che sembra ovvia a chi ha pronunciato la sentenza, «senza tuttavia aver accertato alcuna effettiva “alterazione” dei valori in quanto ritenuto superfluo» controbatte la difesa. Per la Corte non era importante la singola plusvalenza fittizia, quanto l’aver certificato che esisteva la volontà di mettere a sistema un modus operandi finalizzato ad aggirare le regole. Ma così, ribadisce la Juve, si viola «il principio di materialità in quanto si punirebbe la semplice intenzionalità di una condotta senza accertarne la sussistenza». Gli avvocati del club torinese ritengono inoltre che sia venuta meno la valutazione di elementi decisivi (punto 5), come la giustificazione delle famose “X” al posto della cifra («segnalano, come è normale che sia, un elemento ancora indefinito e variabile») e il riconoscimento del “valore confessorio” al libro nero di FP, che per la Juve è semplicemente un appunto di lavoro di Cherubini («il valore confessorio può essere assunto solo da un’affermazione resa in dichiarazioni ad un’autorità giudiziaria» si legge nel ricorso); questo avrebbe portato, argomentano dal capoluogo piemontese, a una violazione del diritto di difesa e dei principi del giusto processo. C’è poi la famosa nota 10940 del 14 aprile 2021 (punto 6) che la Juventus chiede venga messa agli atti, cioè una comunicazione tra la Covisoc e il procuratore Giuseppe Chiné dove quest’ultimo fornirebbe alla commissione di vigilanza alcuni chiarimenti interpretativi (su richiesta) circa lo stato dell’arte in merito alla questione plusvalenze. Secondo le difese delle società portate a processo, la Procura Federale doveva iscrivere la notizia nell’apposito registro entro 30 giorni; e invece l’inizio ufficiale del “caso plusvalenze” è avvenuto soltanto diversi mesi dopo perché quella famosa nota, secondo Chiné, non costituiva atto d’indagine. Il mancato rispetto dei termini (se verrà accertato) può portare a un vizio procedurale che invalida l’intero processo.