Corriere dello Sport: “Kebbe: «Il calcio è la mia vita. In Gambia ero senza futuro e speranza. Sono scappato per inseguire una favola»”
“«Il calcio, la mia vita. In Gambia, mi sentivo prigioniero e senza futuro; vedevo mia madre che si ammazzava di lavoro per darci il minimo indispensabile; e ragazzi che si perdevano in furti e droga. Volevo scappare per inseguire la favola che mi ero costruito chiudendo gli occhi: gol, applausi, libertà. E la maglia di Ronaldo, regalo di papà a due o tre anni, una volta indossata, mi trasferiva per magia in un’altra dimensione». Ebrima Kebbeh, detto Ibra o Samba, ha diciotto anni e sabato scorso ha realizzato il sogno della vita debuttando con la maglia del Palermo nel campionato Primavera. Un giovane vecchio con dentro tante drammatiche avventure, cresciuto troppo in fretta, che sorride poco, ma quando lo fa, con quei denti bianchissimi, sembra uscire dal buio di un incubo. Parla con gli occhi bassi, quasi ad esorcizzare i fantasmi del passato. Ancora minorenne, senza documenti, soldi e parenti, nel 2015, decise di fuggire dalla miseria e dalla dittatura di uno dei regimi più oppressivi, il libero stato delle noccioline, il Gambia del feroce stregone Yahya Jammeh. «La mia storia è quella di un ragazzo senza speranza: uno di otto fratelli che però non si rassegna». E che lascia lo staterello fluviale non più grande dell’Abruzzo, fuggendo attraverso villaggi rurali, sovrastati da giganteschi baobab, dove vecchi e bambini recuperano rifiuti per sopravvivere. Fuga drammatica prima attraverso il deserto poi in un barcone che lo porta a Messina e da lì a Palermo. IBRA RINASCE. «Sono nato a Banjulinding, l’1 ottobre 1998, con un solo obiettivo: diventare calciatore, trovare un’esistenza migliore e una dimensione più umana. Il villaggio nel quale abitavo era povero, si camminava scalzi, i bambini vanno a scuola o giocano nel campo sportivo e per strada». Ibra aveva il pallino del calcio. «Mi dava una sensazione di ebbrezza. Mio padre Hamadi dice che la fantasia si è accesa da piccolo con un pallone per il mio compleanno. In effetti, non me ne sono mai separato. Non conoscevo Ronaldo, non sapevo chi fosse. Poi ho visto in tv Neymar, i suoi gol e la gente che impazziva. Dovevo diventare come lui. La prima squadra? Il Conye che utilizzava le maglie del Milan. La scuola non mi piaceva, l’ho lasciata. E’ stato il mio primo allenatore, giovane e dalla larghe vedute, Ebrima Jatta, a spiegarmi quel mondo per me incantato. “Vuoi diventare famoso? Qui, impossibile”. Ho scelto l’Italia. Su youtube ho visto il Milan e un gol di Gilardino. Mi piaceva anche Kaka e un mio amico mi parlava del Palermo, di Miccoli. Era proprio destino». FUGA PER LA VITTORIA. «Mio padre fa il muratore. Ha lasciato mamma Fatou e si è risposato. Con lui sempre problemi. Voleva che andassi a scuola e mi diceva che il calcio era un’illusione. Mamma invece mi dava la forza di inseguire le mie fantasie. Un giorno è venuta al campo e si è emozionata. Mi sentivo un cavallo nella prateria. Per non pesare sono andato ad abitare da un’altra famiglia che mi trattava come un figlio. Quando ho deciso di scappare l’ho detto a mia madre e a mio fratello Mamadou. Ma anche al quasi fratello dell’altra famiglia». Musulmano, ma non integralista, vive la sua religione e rispetta «chi la pensa diversamente. Osservo il ramadan, prego cinque volte al giorno». La fede gli ha fatto superare momenti terribili. «Non vorrei parlarne. Temo anche di avere problemi. E’ stato un attimo e via fra mille peripezie. Avevo paura, tremavo, ma ero determinato. Mi sono nascosto e ho trovato belle persone che mi hanno dato una mano. Morti? Forse. Allah mi ha guidato. Ce l’ho fatta. Ho trovato aiuto dappertutto. Prima a Messina. Commovente l’amore e la solidarietà di Marika e Simona, una persona speciale, sempre con me nelle difficoltà. Poi a Palermo nel centro d’accoglienza Cielo Sereno. Per la prima volta mi sentivo nuovamente a casa». NUOVA ALBA. «Camminavo a piedi, dal centro fino al Tenente Onorato, aspettavo ore davanti al cancello e chiedevo un provino. Mi prendevano per matto. O mi compativano. Un anno intero sole o pioggia, vento o caldo. Sempre in attesa di un sì. Morganella, bravissimo, mi ha aiutato a conoscere la squadra e mi ha dato tutto: soldi, vestiti, affetto. Carmelo Lo Faso mi ha… adottato: procuratore, padre, amico, ha speso ore e ore accanto a me. E suo figlio Simone diceva che gli assomigliavo tecnicamente. Persone straordinarie. E poi, Baccin, i ragazzi dell’ufficio stampa. Ho conosciuto anche Giuseppe. Stavamo praticamente insieme, gli facevo tenerezza. Senza di loro non ce l’avrei fatta». IL GIORNO ARRIVA. Anche se la vicenda diventa più complicata. «Appena maggiorenne sono stato trasferito a San Cipirello, nella Società Cooperativa Sociale Fenice, quaranta chilometri da Palermo. Scendevo con il primo pullman e rientravo la sera. Sempre con un chiodo fisso. Mi allenavo allo Stadio delle Palme, con gli amici o da solo, chilometri e chilometri senza mai stancarmi. Ho giocato con il Cus, partecipato a un torneo nel quale ho segnato undici gol. Bonfiglio mi dava una mano. Anzi un posto in macchina. Era lui che mi portava, e mi porta, a Palermo. Cracolici, l’ex addetto stampa oggi a Parma, mi procurò un provino col Trapani. Illuso e abbandonato». E’ a questo punto che entra in scena Lo Faso senior. Lo prova in una partita di allenamento. «Appena lo vedo toccare palla – spiega – chiamo subito il Palermo. Gli ho visto fare un gol con una rabona sbalorditiva!». Ibra: «Mi veniva da piangere perché tutti desiderano fare il calciatore e io avevo questa fortuna». Il giorno dell’esordio, sabato 25, a Carini contro il Frosinone, guarda caso, spunta la prima vittoria del 2017. Per Ibra undici minuti finali indimenticabili. Come gli applausi che gli arrivano dal Gambia. «Ho parlato con mamma, ci siamo commossi. Spero di aiutare la gente a realizzare quei desideri imprigionati in fondo al cuore. E con i primi soldi, quando arriveranno, farò beneficenza, acquisterò una play station e ne manderò tanti alla mamma. Ciao mamma»”. Questo quanto riportato da “Il Corriere dello Sport”.