L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sull’Italia di Mancini.
La sola bella sorpresa è Retegui, talento in potenza della Nazionale che verrà, e di cui per ora non c’è neanche l’ombra. A costo di apparire ruvidi, meglio dire subito che vincere così non ci piace, che l’Italia merita un altro calcio, che le scelte di Mancini paiono, pur nella ristrettezza di risorse umane, prive di coerenza. Il doppio impegno europeo dimostra che un nuovo gruppo è tutto da costruire, tanto che le alternative ai reduci del trionfo di Wembley, battuti dagli inglesi quattro giorni fa, sono i rincalzi degli stessi reduci, outsider al più buoni per la panchina, come Cristante, Pessina, Politano, Darmian, Acerbi, Emerson.
Giocatori già provati per anni e i cui limiti sono più chiari dei meriti. Si dirà, e Mancini lo dice a voce alta, che il campionato non dà spazio agli italiani, che i vivai sono monopolizzati dagli stranieri, che nessuno, tra coloro che fanno le sorti del calcio, aiuta il cittì. È indubitabilmente vero. L’illusione di rilanciare i club lasciando morire l’Italia è miopia e autolesionismo. Poiché la crisi strutturale della Nazionale ha già deprezzato quel poco che resta del made in Italy. Un’economia di puro scambio, che prescinda del tutto dalla manifattura, è un bolla condannata a un’instabilità permanente.
Ma al netto di questa denuncia, le contromosse del cittì mostrano un arroccamento difensivo e una mancanza di visione. Che senso ha insistere su giocatori come Emerson, l’unico brasiliano capace di sbagliare tre stop di seguito, invece di ricostruire una nuova linea difensiva, investendo sui pochi talenti del campionato? È come se l’eccesso di sperimentazione, che ha vestito d’azzurro decine di giovani, avesse confuso le idee del selezionatore e fiaccato il suo coraggio, inducendolo così a ripiegare sull’usato sicuro. Salvo scoprire che la sicurezza è una sicumera. Con l’effetto di mettere in piedi una squadra raccogliticcia di rincalzi, modesti per natura e in deficit di affiatamento, e forse anche pressati dalla tensione che cresce attorno al destino della Nazionale.
Potremmo illuderci che siano i naturalizzati il rimedio contro la stitichezza qualitativa del campionato. E inebriarci per lo stacco di testa che in apertura di gara ci regala il vantaggio, rallegrandoci di aver trovato finalmente un centravanti in grado di competere nel gioco aereo come non si vedeva da tempo. Resta il fatto che Retegui è ancora un alieno, e altro non potrebbe essere un attaccante ventitreenne del tutto digiuno del calcio europeo.
Quanto al resto, tutto il resto è… noia. E potremmo cavarcela con il titolo del capolavoro di Califano se dietro la noia non ci fosse lo spettacolo indecente dell’ottava nazionale al mondo nel ranking Fifa che contende confusamente, e alla pari, il pallino del gioco a una rivale collocata nella stessa classifica al centosessantasettesimo posto, i cui atleti che giocano all’estero stanno in gran parte tra l’Eccellenza e la Seconda Serie delle leghe top.
Meglio suonare la sveglia, prima che sia troppo tardi. Dicendo forte e chiaro che questa vittoria indecente non è neanche un’onorevole sconfitta. Soprattutto perché dimostra che fin qui si è girato a vuoto, e che un nuovo gruppo e un nuovo ciclo sono tutti da reinventare, mentre la tagliola della qualificazione, ultimativa per chi, come noi, non può permettersi di sbagliare di nuovo, ci toglie il respiro.