Corriere dello Sport: “Iniesta: «Dico no al calcio dei robot. Senza l’Italia il Mondiale non è lo stesso»
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” riporta alcune parole di Iniesta in merito al Mondiale.
Lui è il genio, l’illusionista o, più naturalmente, don Andrés: come un eroe strappato dalle pagine del Cervantes, come un mito della letteratura spagnola. Lui è il calcio nella sua gigantesca bellezza, nella leggerezza del palleggio, nelle luci abbaglianti di un’idea semplice e pure rivoluzionaria. Lui è la magia, l’eleganza, la fantasia che va al potere; lui è il Barça e quindi la Masia, è una scuola che ha riempito gli occhi a colpi di tiqui-taca.
Lui ora è anche altro, un docufilm, “La mia decisione”, che non è né ultimo né definitivo, è una parentesi dolente nella straripante vita di Andrés Iniesta e lo racconta non da vicino ma da dentro, non per amplificarne il vissuto ma per denudarne i sentimenti che l’hanno sostenuto sempre, anche dopo un infortunio in cui ha temuto che forse la favola stesse per finire. E invece don Andrés è ancora qui, per fortuna, a regalarci se stesso. C’è tempo per vivere in povertà, ora conviene gustarselo finché possibile, pur nel frammento di un’immagine che non sbiadisce.
A un certo punto, Iniesta, dicembre 2020, lei si fa male… E, incredibile ma vero, si commuove e piange.
«Ripensavo a quel momento difficile della mia vita, l’incidente più serio che mi fosse capitato in carriera. Le sensazioni erano diverse, le più varie. Non mi si era mai presentato il rischio di dover entrare in sala operatoria e quella volta invece stava accadendo».
Se non abbiamo sbagliato i conti, sono 38… «Il futbol è il mio amore e gli anni, che adesso sono 37, non l’hanno modificato, né attenuato. Io ho rispetto verso me stesso ma anche e soprattutto verso i miei compagni di squadra, verso il club e nei confronti della gente che riempie gli stadi».
Adesso ch’è passata, che è tornato in campo, smettere le fa paura? «So che quando dovrò farlo non sarà un gran bel giorno. So che sarà molto difficile. So che soffrirò, perché ripenserò a quando il mio papà mi accompagnava a giocare. So che rimpiangerò tante cose – la folla, gli amici, la spensieratezza – ma non mi smarrirò. Poi comincerò a pensare al futuro, allenatore o direttore sportivo, non ho ancora idee chiare in merito. Ma questo sarà soltanto il passo successivo».
Cosa immagina guardando oltre?
«Che non saremo robot, né macchine. E che comunque a fare la differenza, nonostante tutti i mutamenti, sarà sempre e soltanto il talento».
Iniesta è un uomo felice? «Se dicessi che mi manca qualcosa sarei ingiusto. Sono partito da un paese da 1800 abitanti che avevo dodici anni. Ho vinto tantissimo, con quella che era la squadra dei miei sogni».
Iniesta senza Pallone d’Oro è un’ingiustizia… «Per me, no. Sinceramente. Non la sento come tale. Non mi cambia. Volevo essere un calciatore. Ho avuto e sono soddisfatto. Certo, se lo chiedi alla mia famiglia o ai miei amici forse ti diranno che l’avrei meritato, ma se penso che nel 2010 sul podio c’erano Messi, il sottoscritto e Xavi, mi viene il sospetto di essere dinnanzi ad un evento unico: tre del Barça tutti assieme».
La sua vita è racchiusa in alcune immagini di “La mia decisione”: aveva 14 anni, vinceva la Nike Cup e veniva premiato da Guardiola. Il destino scelse subito per lei. «Direi di sì. Eravamo al Camp Nou, lui era il capitano del Barça, io segnai all’ultimo minuto».
E cambia il calcio. «Indubbiamente. È diverso da quando ho debuttato in Champions, a diciotto anni; è diverso da quando ho lasciato il Barcellona, nel 2018; sono differenti i regolamenti, i calendari, anche le atmosfere mi verrebbe da dire, e poi le tendenze e le mode. Rispetto a venti anni fa mi pare ci sia meno creatività e inventiva».
E se lo dice l’illusionista c’è da preoccuparsi. «La differenza, però, la farà sempre il talento. Sarà quello l’unico giudice».
Non c’è, e chissà se ci sarà, un erede di Iniesta. «A me dicevano che somigliavo a Pep; poi che ricordavo Xavi. Ora sta toccando a Pedri e Gavi, che hanno più o meno l’età che avevo io quando ho cominciato. Sono i cicli del calcio. Nasceranno altri campioni e saranno differenti, perché ci sarà istinto o portamento o natura che non li farà mai apparire simili a quelli che vengono ritenuti i loro predecessori».
Andrà al Mondiale, il primo da spettatore, come commentatore della tv spagnola. «E me gustaria che a vincerlo fosse la Spagna. Ma sarà una competizione tremenda, brutale, come sempre. Le favorite sono le solite, mi verrebbe da dire, il Brasile, la Francia, la Germania, l’Argentina e ci aggiungo anche l’Olanda».
Noi italiani ce ne staremo “drammaticamente” sul divano. «Mi è chiaro cosa voglia dire, per l’Italia, non partecipare. Ma il Mondiale perdendo una delle sue grandi protagonisti di sempre non sarà lo stesso. La sorte ha inciso perché nelle sfide dei gironi gli episodi, alcuni proprio nel finale di alcune partite, si sono rivelati decisivi e fatali. È difficile accettarlo, comprendo, ed è stranissimo non trovare i campioni d’Europa in Qatar».
Facciamo un giochino: c’è un calciatore, un contemporaneo o anche del passato, con il quale le sarebbe piaciuto giocare?
«Visto che ci stiamo muovendo tra la Spagna e l’Italia è logico che non possa che pensare a Pirlo, a Del Piero, a Totti, che ho affrontato ed ho ammirato. Se devo guardarmi indietro, chiaro che invece cito Maradona, Pelé, Cruijff»