L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” riporta un’intervista a Fabio Cannavaro, tecnico del Benevento, prossimo avversario del Palermo.
Cannavaro, come l’è sembrato il calcio italiano visto dalla panchina della Strega? «Sono rientrato dopo anni e l’ho trovato molto diverso. Si ragiona di meno. Ero abituato a lavorare con 12 o 13 nazionali. Ma in Cina avevo allenato anche in B. Diciamo che sono ripartito da zero. Ma non è stato un problema. Anzi. Il Benevento mi va benissimo».
Tutti l’aspettavano in A, invece s’è fatto convincere dal presidente Vigorito. Cosa l’ha spinta ad accettare questa sfida? «Quando non ho accettato di guidare la Polonia, ho fatto una scelta che si è rivelata sbagliata. Poi solo rumors. E mi sono reso conto che mi sarei dovuto mettere in discussione per non restare a piedi un altro anno. Comunque, a convincermi non è stato il presidente, ma il direttore Pasquale Foggia, mio amico. Anche se le ambizioni di Vigorito hanno fatto il resto».
In campo lei è stato un leader assoluto. In panchina, Cannavaro a cosa aspira?
«Mi piace un calcio offensivo e di qualità. Giocarmela con tutti con aggressività, ma anche ragionando con e senza palla. Sono consapevole, tuttavia, che ci sono tanti modi di vincere».
Il clamoroso ribaltone e le vicende giudiziarie alla Juventus quanto l’hanno colpita?
«È stata una sorpresa. Ma aspettiamo la nuova governance. Senza dimenticare che la Juve nelle difficoltà ha sempre dato il meglio».
L’Italia per la seconda volta fuori dai Mondiali come mai?
«Un dramma. Ma non è colpa di allenatore e presidente. Bisogna resettare il sistema e tornare ai vivai. Gli italiani non fanno più figli e ciò si riverbera anche sul nostro movimento».
In Qatar chi vince alla fine?
«Il Brasile mi ha impressionato per qualità e solidità. Poi ci sono Francia, Portogallo, Argentina. Mi piacerebbe che vincesse uno tra Ronaldo e Messi. È impensabile che due così non hanno ancora vinto un Mondiale».
Una B mai così equilibrata e con tanti club che ambiscono alla A. Un rischio o un’opportunità per il suo Benevento in ritardo ma non fuori dai giochi?
«Se pensiamo in grande, certamente è un’opportunità. Una gara alla volta però. Sono convinto che cresceremo, evitando di essere impazienti. Ci sono problemi in parte dovuti alla costruzione per tappe del gruppo. Altri sono scaturiti da infortuni. Speriamo di recuperare tutti per la sosta. Poi vediamo cosa succede. Ma ogni cosa dipende da noi».
State già studiando con il direttore Foggia eventuali interventi sul mercato?
«Non ho ancora fatto richieste. Abbiamo tanti giocatori fuori. Faremo valutazioni mirate per accrescere le nostre potenzialità. Ma al completo questa squadra vale».
Il presidente Vigorito le ha chiesto la terza promozione in A?
«Forse ho chiesto più io a lui che lui a me. Servono strutture. E i grandi risultati ottenuti in passato non sono garanzia per il futuro. Il presidente ha capito le difficoltà del momento e ci sta vicino».
A i beneventani, sempre un po’ scettici rispetto alla realtà, cosa può promettere?
«Solo lavoro. Ma si avverte un’aria diversa anche tra la gente».
Le dimissioni di Como una provocazione o una strategia?
«Un atto dovuto per fare chiarezza. Quando non arrivano i risultati bisogna trarre le conseguenze e assumersi le proprie responsabilità. Io e il direttore sportivo siamo amici. Ma non è stato un tentativo di abbandono. Anzi. Il fatto che sono state respinte le dimissioni ha dato forza a me e responsabilizzato il gruppo».
Palermo, Parma, Cittadella, Modena e Perugia per chiudere il girone d’andata. Benevento a -6 dal perimetro playoff. Gap colmabile entro l’anno solare?
«Dobbiamo uscire da questa situazione il prima possibile. Questo è un torneo durissimo. Ma ogni turno ci regala novità. Dobbiamo essere umili e cogliere le opportunità che certamente sapremo costruirci o che capiteranno sulla nostra strada».