L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul Palermo al City Group e sull’appeal che ha avuto la B nella buona riuscita dell’affare..
Con l’acquisizione del Palermo da parte del City Group (proprietà arabo-londinese) avanza il processo di internazionalizzazione del nostro calcio che scende ora alla B e alle categorie inferiori. Sono sette (su 20) le società cadette già in mano a controllanti esteri, di cui cinque americane (Genoa, Parma, Pisa, Spal, Venezia) una indonesiana (Como) e ora il Palermo. Tra queste, Genoa, Venezia e Parma arrivano dalla Serie A mentre il gruppo della famiglia Hartono ha portato il Como dalla D alla B.
L’interesse di investitori globali per i club delle serie inferiori non è fenomeno recente e neppure italiano: oltre il 67 per cento dei club europei è controllato da proprietà non autoctone quindi l’Italia è molto indietro in questa linea di tendenza destinata a proseguire sicuramente nei prossimi anni.
In buona parte si tratta di investitori finanziari: un fondo di private equity (777 Partners) ha rilevato il Genoa ma anche RedBird (nuovo proprietario del Milan) ha iniziato dal Tolosa, in seconda divisione francese ma ora promosso in Ligue 1. Altri sono gruppi familiari o conglomerate dello sport – è il caso di City Group – che costruiscono portafogli di società in vari paesi e talvolta in sport diversi. A differenza di altre industrie, il calcio si distingue per la capacità di attrarre capitali di origine variegata e la diversità comporta sempre obiettivi e stili di gestione molto differenziati. In alcuni casi vi sono motivazioni strategiche, di visibilità o di accreditamento politico: non c’è dubbio, a esempio, che tra quelle dei gruppi che controllano City e Psg vi sia l’obiettivo di accreditare i rispettivi paesi di origine nella comunità internazionale.
L’assegnazione al Qatar della Coppa del Mondo è uno step importante di questa strategia che seguì anche la Cina nei primi anni dell’espansione internazionale, prima di scegliere un netto dietro front (che molti attribuiscono proprio alla constatazione della difficoltà di ottenere i Mondiali). In altri casi, le motivazioni sono strettamente economiche. Le proprietà americane sono tipicamente guidate da obiettivi di massimizzazione dell’investimento. Alcuni con l’idea di estrarre utili periodici dal club, come i Glazer che controllano il Manchester United, non a caso quotato sulla borsa di New York. La maggior parte con il progetto di realizzare guadagni in conto capitale dalla successiva rivendita che presuppone, naturalmente, la valorizzazione dell’investimento: in termini di visibilità del brand ma anche capacità di generare ricavi e risultati sportivi.
Nel caso dei club di B (o addirittura di C) tale speranza è incoraggiata da due circostanze: la dimensione modesta dell’investimento richiesto per acquistare il club (13 milioni il prezzo pagato da City Group per l’80% del Palermo Calcio) e la possibilità di moltiplicare rapidamente il valore dell’investimento centrando il salto in serie A. Il passaggio alla massima serie consente di partecipare immediatamente alla distribuzione di quasi un miliardo di diritti televisivi, sebbene sia necessario calibrare la gestione di costi in rapida crescita, soprattutto per acquistare e mantenere il parco giocatori. In ogni caso, in serie B (o C) è più facile saldare quella convergenza di interessi tra proprietà e tifosi animati dal miraggio della promozione. Ecco perché l’arrivo di una proprietà straniera ha sempre l’effetto di sprigionare sogni ritenuti prima impossibili.