“Lo hanno raccontato in profondità, compagni e allenatori: Totti non smette di giocare al calcio perché ha ancora l’entusiasmo del primo giorno. Dev’essere proprio vero se tra i ricordi migliori della sua vita professionale non cita il Mondiale, e nemmeno lo scudetto che per un romanista è un tatuaggio spirituale, ma un ordinario pomeriggio a Brescia: «Quel giorno debuttai in Serie A. Scelgo quello, nei miei 40 anni, perché da lì è cominciato tutto».
NASTRO. Era il 28 marzo 1993: la Roma vince 2-0, minuto 87, esce Rizzitelli ed entra Totti. Vujadin Boskov resterà nella storia anche per questa scelta. Tre giorni prima, curiosamente, in un ideale passaggio di consegne tra artisti, Federico Fellini aveva ritirato l’Oscar alla carriera. Totti, a sedici anni e mezzo, era appena all’inizio del suo percorso. «Ho sempre provato a comportarmi da professionista – ha spiegato nel corso della giornata -, non ho vizi, mi impegno in allenamento tutti i giorni per migliorare. Ma quando hai 16 anni è diverso: in quella fase pensavo soprattutto a divertirmi in campo. Questo posso consigliare ai giovani che cominciano oggi: divertitevi. Tra l’altro per me questo aspetto non è cambiato: mi diverto ancora…».
TENTAZIONI. Poteva essere del Milan, prima di trovarsi alla Roma. Ma soprattutto poteva trasferirsi al Real Madrid, dove ancora adesso Raul Gonzalez Blanco lo rimpiange come compagno mancato: «E’ successo l’anno dopo lo scudetto. Avevo bisticciato con il presidente Sensi, sono stato molto vicino al Real». Dove ogni volta il Bernabeu lo applaude compatto: «E’ stata una possibilità importante per me. E anche dopo, quando stavo trattando il rinnovo del penultimo contratto (con Rosella Sensi, ndr), ho pensato di cambiare squadra. Ma non sarei rimasto in Italia, per me sarebbe stato impossibile». Altra scelta d’amore. Da qui nasce la firma su un quinquennale che all’epoca sembrava un omaggio. E che invece si rivelò un contratto molto produttivo per la Roma: «Il cuore, gli amici, la famiglia. Ecco cosa mi ha convinto a rimanere. Loro mi hanno fatto cambiare idea per fortuna e oggi sono ancora qui». Senza il minimo rimorso: «Roma è una città che mi vuole tanto bene. E io lo so, lo sento. Questo è troppo bello per me. Sento i tifosi come dei fratelli, perciò conosco il loro umore: la settimana è lunga ma quando vince la Roma è più semplice».
COMPLEANNO. E’ stato letteralmente travolto dagli auguri per i 40 anni. Saranno i vantaggi di immediatezza dell’epoca social ma non si ricorda un personaggio pubblico così celebrato “solo” per un compleanno. Totti è universale e trasversale, è il campione di tutti. Ma è anche un uomo timido che si lascia destabilizzare dall’attenzione mediatica: «Quando mi sono svegliato sono stato tentato di staccare il telefono e darmi malato… Pensandoci bene però era un giorno importante, quindi ho voluto godermi queste cose belle». Sperando di condividere ancora gioie con la Roma: «Vorrei segnare un gol nella finale di Europa League… In Serie A so che è quasi impossibile raggiungere Piola (gli mancano 24 gol, ndr) ma un po’ ci penso. Comunque mi interessa soprattutto vincere con la squadra: vedrete che risaliremo, siamo a settembre mica ad aprile, se troviamo continuità saremo vicini a Juve e Napoli».
CARRELLATA. Gli hanno mandato videomessaggi gli amici, i colleghi, altri sportivi, altri vip. Totti va particolarmente fiero di aver sentito Leo Messi: «Ci sentiamo ogni tanto. Significa che qualcosa di buono l’ho fatta anche io, perché Messi è un fuoriclasse e un fenomeno. Ma se mi augura di giocare altri due anni io non so mica se riesco ad accontentarlo». Agli altri, da Bolt a Nadal, risponde così: «Non mi sarei mai aspettato un tributo così importante. Fa piacere ricevere tanto affetto da icone mondiali: mi gratificano». Di lui viene ammirata soprattutto la continuità ad alti livelli, una longevità che sposta sempre i confini della vita sportiva: «Se potessi farmi un regalo, infatti, adesso mi toglierei 10 anni. Credo che per un calciatore l’età migliore sia fra i 30 e i 35. Ma non mi sarei mai aspettato di arrivare a 40 sempre con la stessa maglia, con la fascia da capitano e il numero 10. È un sogno che avevo da bambino e me lo godrò fino alla fine». Ricorda il migliore compagno che ha avuto («Candela: ancora ci frequentiamo») e quelli che avrebbe voluto: «Mi sarebbe piaciuto giocare con Falcao e Cerezo».
EREDE. Presto passerà il testimone al figlio Cristian, che a novembre compirà 11 anni: «Io da una parte gli auguro tutto il bene possibile, perché vedo che in questo momento si diverte, è innamorato del calcio. Dall’altra non glielo auguro perché non è semplice per lui avere un cognome così sulle spalle, ogni volta lo accostano a me e prendono come riferimento il padre. Questa cosa mi dà fastidio». Però qualche consiglio all’erede lo dà: «Sono un padre tedesco. Gli dico che è il più scarso di tutti come faceva mio padre con me. Ma alla sua età io ero molto più forte…»”. Questo ciò che si legge sull’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.