“La risposta c’è stata. Lasciamo perdere che i tifosi siano stati coinvolti da un amore ancestrale, da prezzi contenuti o dall’effetto Corini. Nella (finora…) peggiore domenica dell’era Zamparini, il ritrovato entusiasmo dei tifosi è l’unica cosa da prendere. Tutto il resto… noia, scontato, fatale. Ed è difficile capire come si possa venire a capo di una situazione che fa acqua da tutte le parti. I numeri sono impietosi, le prestazioni deludenti, i cinesi non arrivano, gennaio resta un rebus. E l’atteso riscatto, il colpo di fiducia deve ancora arrivare. Dieci tappe bruciate, Coppa Italia compresa, per capire e analizzare una serie di errori che vanno dall’idea di svecchiamento, alla supervalutazione di certi giocatori, all’ipotesi di un Palermo giovane e ambizioso da completare sul piano umano e tecnico strada facendo. La multinazionale ha fallito. Soprattutto nella tappa più importante, contro il Chievo, cominciata con la festa, una sontuosa coreografia, la foto di Barbera, “presidentissimo” di un calcio povero di soldi e ricco di sentimenti. Facce diverse, sorridenti, bambini felici, il boato all’ingresso di Corini, cori, la speranza di ricostruire sulle macerie. Doveva essere una partita diversa, simbolo della rinascita. La magia. Più di ventimila spettatori, l’entusiasmo delle curve. Per spezzare l’incantesimo con le parole più semplici: gol e vittoria. È finita tra i fischi, immagini di un fallimento, di una vera e propria umiliazione. Slogan, canti e tamburi hanno accompagnato il Palermo fino all’ultimo respiro, poi la sonora contestazione, alleggerita quando i giocatori hanno chiesto scusa. Corini non è bastato. E non è bastato toccare l’animo della città e dei giocatori per scuotere quel malinconico tran tran che sta portando il Palermo alla rovina. I novanta minuti della speranza sono diventati l’incubo più profondo di tifosi sempre più rassegnati e imbufaliti; e di una squadra depressa che in casa ha paura. Anche Corini lo dice. Il primo passo c’è stato, solo sugli spalti. Ma a questo Palermo non basterebbe neppure giocare in dodici. E allora, come risvegliare uno spogliatoio in coma? Con uno psicologo? Un colpo di fortuna? Un dettagliato lavoro di ricostruzione? Tutto e di più. Quel pugno sbattuto dal tecnico sul tavolo a Firenze non è servito, il “Genio” è rimasto intrappolato nella lampada dei desideri. Corini è umano. Aveva già fatto troppo in pochi giorni e non ha il dono di inventare uomini e ruoli che non esistono. Più facile cambiare l’intera squadra. L’aiuto dello stadio ha aumentato la sensazione di impotente delusione. I tifosi hanno avuto un merito. Per un giorno il pallone è uscito dagli studi televisivi ed è entrato in campo. Emozione collettiva nella sfida contro il tempo, come nella passata stagione, ultima di campionato, la salvezza da conquistare. Il calcio è un gioco ma anche un fenomeno sociale, un mistero, una religione senza atei della quale bisogna tenere conto. Per Corini, un principio sacro. Da bambino e da adulto. Tanto che, schiaffo a parte, ha ridisegnato la sua convinzione sugli acquisti di gennaio, sul suo credo calcistico semplice, da squadra che deve salvarsi; e sulla classifica che lascia spiragli. In maniera diversa da Ballardini che non ci credeva o dall’integralismo di De Zerbi, per quel poco che si è visto, ha scelto scorciatoie ed emozioni. Fare punti, al di là dell’estetica, e ritrovare il calore della gente. Con un vantaggio: il Barbera è rinato. Se per un giorno o per sempre si vedrà. Dipende anche dalle strategie societarie.”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.