“Ci sono segnali incoraggianti, come la crescita dei ricavi da stadio (+18,4% rispetto all’anno precedente) e di quelli commerciali (+9,3%), ma anche piccoli campanelli d’allarme, come l’aumento dei costi e in particolare il costo del lavoro (vedi gli stipendi dei tesserati, sostanzialmente), un dato in controtendenza rispetto al resto d’Europa: sono le luci e ombre del sistema calcio italiano così come viene descritto dal Report 2016 della Figc, elaborato da PwC e Arel e presentato ieri a Montecitorio. Il nostro calcio continua a produrre perdite, resta fortemente dipendente dai ricavi legati ai diritti tv e vede sempre più diminuire l’intervento degli azionisti di riferimento in termini di aumenti di capitale, un po’ perché la Uefa li limita (almeno per chi vuole partecipare alle coppe) e un po’ perché la tendenza di “gestire” i soldi che arrivano dal mercato (e dalle banche) si è consolidata anche tra i top club, produzione e costi. Mettendo insieme il mondo professionistico, cioè Serie A, B e Lega Pro, nella stagione 2014-15, l’ultima presa in esame, il valore della produzione (2,625 miliardi di euro) cala del 3,7% mentre nel resto d’Europa il trend non solo è di segno opposto ma anche più importante in valore assoluto (+6,4%). Ci sono delle voci in aumento: crescono i ricavi al botteghino, è un bel segnale ma c’è ancora molto da fare soprattutto in termini di infrastrutture, e crescono anche i ricavi commerciali e pure quelli legati ai diritti tv (sotto la spinta dei contratti Uefa). Però quel segno negativo, il -3,7%, è determinato da una voce storicamente assai importante per i nostri bilanci: le plusvalenze. Che si sono ridotte nell’ultima stagione esaminata addirittura del 27,9% scendendo a 381 milioni. «Un dato legato ai minori scambi sul mercato, anche perché i grandi talenti hanno già lasciato il Paese», spiega Emanuele Grasso di Pricewaterhouse Coopers. Meno export di talenti, dunque, sostiene il Report. Suggeriamo anche un’altra variabile da tenere in conto: l’abolizione delle comproprietà che storicamente hanno sempre generato un elevato flusso di plusvalenze facili, a volte anche “troppo” facili. I costi aumentano del +2,8% ma il dato più preoccupante è l’aumento di quelli del lavoro, cioè gli stipendi di tesserati e dipendenti: +4,9% per l’Italia mentre nel resto d’Europa questa voce si è ridotta del 3,1%. Incrociando questo dato con la radiografia degli stipendi della Serie A, viene fuori la tendenza dell’aumento della media degli stipendi, fermo restando che il tetto massimo del nostro campionato di punta è assai lontano dalla media di campionati come Premier e Liga. I trasferimenti valgono circa 600 milioni di euro, pari al 20% circa dei ricavi: per ogni 100 euro che entrano nelle casse dei club professionistici, 20 se ne vanno per l’acquisto dei calciatori perdite, debiti e patrimonio. Il nostro calcio, in ogni caso, continua a generare perdite. La sola Serie A (al netto del bilancio del Parma, poi fallito, non preso in considerazione) nel 2014-15 ha generato un -379 milioni di risultato netto. L’immagine proposta da PwC per rendere meglio l’idea è questa: per ogni 10 euro di ricavi (senza le plusvalenza), la Serie A genera 2 euro di perdite, la B 3 euro e la Lega Pro 6 euro. C’è una riduzione dei debiti totali (-8,1%) ma il dato preoccupante è il crollo del patrimonio netto aggregato (-86,4%). Spiega Grasso di PwC: «Sta rallentando il supporto degli azionisti, 37 milioni di euro sono pochi per supportare un’industria che produce 3 miliardi di ricavi e ha 3 miliardi di debiti. Il sistema ha bisogno di essere finanziato, con così poco capitale di rischio è difficile tornare ad avere risultati sportivi». EFFETTO TV Anche se alcune singole voci crescono, persiste il forte squilibrio nella torta dei ricavi: il nostro calcio, e in particolare la Serie A, è ancora fortemente dipendente dai diritti tv (siamo al 42%) e dalle plusvalenze di mercato (15%). In Serie A il peso dei contratti con le emittenti addirittura è del 58% mentre in Europa è
del 37%; di contro, i nostri ricavi commerciali coprono il 23% delle entrate mentre negli altri grandi campionati la media è del 37%. Resta insomma lo squilibrio: e siccome le tv non continueranno ad offrire sempre di più, per far aumentare i ricavi bisogna lavorare sugli incassi al botteghino (nuovi stadi indispensabii) e sui ricavi commerciali. Molti presidenti, con Agnelli in testa (ieri era alla presentazione del Report), da tempo chiedono nuove leggi anche per la tutela dei marchi”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.