L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sull’Arabia che mette gli occhi sul Mondiale 2030.
Oggi ha un nome: sportwashing. In realtà è sempre esistito. È la politica adottata da Paesi, quasi sempre dittature, con l’obiettivo di ripulire la propria immagine attraverso lo sport. Basti pensare all’epica sfida tra Ali e Foreman disputata nello Zaire di Mobutu. O il valore che acquisì il Mondiale ospitato e vinto dall’Argentina durante la dittatura dei colonnelli. Nel frattempo, il mondo e la società sono cambiati. E oggi a praticare lo sportwashing sono soprattutto i Paesi arabi desiderosi di conquistare porzioni di credibilità attraverso l’organizzazione di grandi eventi sportivi. Come ha dichiarato al New York Times la dissidente saudita Lina al-Hathloul, la cui sorella è stata arrestata e condannata al carcere per aver difeso il diritto delle donne saudite di guidare: «penso che il governo saudita, il regime saudita e Mohammed bin Salman, vogliono che quando si parli di Arabia Saudita la gente pensi a Cristiano Ronaldo e non a Khashoggi» il giornalista scomparso nell’ambasciata dissidente di Istanbul il cui corpo non è mai stato ritrovato. Per la Cia – e non solo per la Cia – è stato fatto a pezzi, ammazzato su ordine del principe ereditario Mohammad bin Salman. L’operazione d’immagine è su ampia scala.
Riguarda l’automobilismo, la boxe, il golf, i cavalli, il wrestling. E l’Arabia Saudita si è mossa anche in ritardo rispetto ai nemici-rivali di Qatar ed Emirati Arabi che hanno fatto del Psg e del Manchester City due ambasciate internazionali dei loro Paesi. Il Qatar ha persino ottenuto i Mondiali dove è andata in scena la resa della vecchia Europa sui diritti civili: è sufficiente ricordare la pagliacciata sulla fascia arcobaleno. La Coppa del Mondo in Qatar è stata la rappresentazione di quel che Houellebecq aveva anticipato in “Sottomissione” il romanzo che scosse le coscienze dei benpensanti: l’asservimento all’Islam sarebbe avvenuto in maniera dolce ma non meno inquietante. Come ha dimostrato l’immagine di Messi che alza la Coppa del Mondo con indosso il bisht, abbigliamento tipico della cultura araba. Anche la recente correzione di rotta di Houellebecq sui musulmani è un segno dei tempi.
I sauditi vogliono rapidamente recuperare il terreno perduto. Hanno cominciato con l’acquisto del Newcastle che, pur senza aver scelto la strada del calciomercato faraonico che ha contraddistinto la gestione del Psg, il prossimo anno disputerà ugualmente la Champions. La scorsa estate hanno portato nel campionato di casa Cristiano Ronaldo, hanno proseguito con Benzema cui verranno elargiti oltre 400 milioni di euro in tre anni. Una cifra semplicemente mostruosa. Altri ne arriveranno. Ci stanno provando con Kante. Ci hanno provato con Allegri, ci proveranno ancora con grandi nomi. Hanno dovuto incassare il no di Messi che ha preferito trasferirsi a Miami e giocare nell’Mls. Il vero obiettivo sono i Mondiali del 2030. Ci vogliono arrivare da potenza sportiva, quasi come se fosse naturale organizzarli lì. Non a caso quella dei sauditi è un’operazione a tenaglia, più ampia degli altri Paesi del Golfo. Proprio questa settimana nel golf è avvenuto un terremoto. Il Pga Tour, lo storico circuito principale del golf professionistico maschile, ha firmato una tregua miliardaria con il Liv Golf una sorta di Superlega scissionista finanziata dai sauditi. L
a “guerra” è improvvisamente scomparsa, il circuito sarà unico. Il Guardian ha commentato così: «è l’ultima, deprimente dimostrazione che pozzi senza fondo di denaro possono sconvolgere e distorcere tutto nello sport. E non solo un pozzo senza fondo qualsiasi; uno proveniente da un regno colpevole di violazioni dei diritti umani e che sta usando il golf – più il calcio, più qualsiasi altra cosa su cui possa mettere le mani – come strumento per far voltare le persone dall’altra parte. Lo sportwashing funziona». Il calcio e lo sport sono a pieno titolo nella geopolitica. Fifa, Uefa e altri circuiti internazionali vanno considerati veri e propri organismi sovranazionali. Una decina d’anni fa c’era chi storceva il naso quando si parlava di bilanci delle società di calcio. Oggi è l’argomento principale. Accadrà lo stesso per la geopolitica. Accapigliarsi per un fermo immagine del Var sarà sempre più vintage.