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Corriere dello Sport: “Exor strategy. La Juve adesso cerca un acquirente”

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul futuro della Juve alla ricerca di un acquirente.

Se la Juve non fosse quotata, gran parte del problema attuale non esisterebbe o avrebbe dimensioni limitate. Intanto, non avrebbe dovuto seguire i principi contabili internazionali (Ias/Ifrs) ma quelli nazionali (Oic) che non prevedono particolari limitazioni nella plusvalenza da iscrivere quando si cede un bene intangibile come un cartellino. Ci si arrenderebbe all’impossibilità di stabilire il valore di mercato dei calciatori ed ognuno avrebbe fatto, più o meno, a piacimento. Gli IAS dettano invece regole precise ed è su queste che Consob, revisori e procura ravvisano irregolarità.

Senza la quotazione la Juve non sarebbe sotto la lente Consob e non avrebbe subìto minuziose ispezioni. Ciò non significa che le società private possano fare come vogliono: se la questione delle scritture segrete dovesse costituire falso in bilancio, lo sarebbe anche senza la quotazione, ma il livello di attenzione sarebbe più basso. Soprattutto, le pene previste sarebbero assai più lievi.
Tutto ciò rilancia l’interrogativo proposto da noi anche in passato: perché la Juve è quotata? Dal collocamento delle azioni la vecchia Ifil (antenata della Exor) ricavò risorse preziose che aiutarono la famiglia a sottoscrivere l’aumento di capitale Fiat per mantenerne il controllo nel periodo più buio della sua storia. Ma dopo?

Il calcio non è business adatto alla borsa: pochissimi i club quotati e saranno sempre meno. Intanto perché non genera dividendi, tranne a costo di scatenare malcontento tra i tifosi. Basti guardare lo United, i rapporti pessimi tra proprietà e fan. Inoltre, in cambio dei capitali il mercato chiede rendimento, così una quotata deve seguire piani da cui estrarre ritorni finanziari consistenti. Se non sotto forma di dividendi, attraverso l’apprezzamento del valore delle azioni.
Certe proprietà ricercano nel calcio un ritorno di visibilità impossibile in qualsiasi altro business ma, per farlo, devono riversarvi liberamente tutti i soldi necessari per vincere. Mai Berlusconi o Moratti, per dire, avrebbero potuto convivere col mercato finanziario mentre il sottile equilibrio della Juve, per molti anni, sembrava garantito dalla sublime capacità di vincere senza svenarsi.

Così nell’era Moggi-Giraudo, finanziariamente disciplinata, ma anche nella prima fase di Andrea Agnelli che disegnò una Juve moderna: stadio di proprietà, brand, merchandising, profilo internazionale, CR7. Con l’ambizione di essere la società più avanzata, organizzata e trasparente d’Italia, quotata in borsa e quindi sotto i riflettori ma pure impegnata a perseguire l’ossessione, antica e provinciale, della vittoria a tutti i costi. Poi l’ansia di primeggiare porta a smarrire la linea di confine tra lecito e illecito, regole e arbitrio. Oggi che la Juve – ma perfino Exor – non è solo un affare di famiglia, il gioco forse non vale più la candela. John Elkann guida una holding da 36 miliardi di asset, brand di alto profilo, ha una responsabilità enorme e la giusta ambizione di proporsi come leader industriale e finanziario di livello internazionale: per profilo e storia personale può farlo. Trovarsi intercettato dalla Finanza per questioni di pallone, sbattuto sui giornali su vicende dai risvolti penali per alcuni suoi stretti collaboratori non gli ha certo fatto piacere.

Non è sicuro che la Juve sarà presto venduta ma l’azionista di controllo ci sta pensando. Non sarà impresa facile: la capitalizzazione di borsa è depressa (680 milioni) anche se la quota di controllo vale molto di più, certamente oltre il miliardo. Il mercato è vivace ma occorre seguire l’equilibrio tra domanda e offerta. Anche quest’ultima è piuttosto robusta perché United e Liverpool sono in vendita ma pure in Italia Zhang sonda acquirenti per l’Inter e De Laurentiis incontra possibili investitori.
Il club è ricco di storia ma la Juve è soprattutto Torino che non è Londra né Milano, dettaglio che gli investitori internazionali guarderanno con attenzione nell’era in cui estrarre valore dai club significa soprattutto trasformarli in veicoli di lifestyle a 360 gradi. Media company, costruttori di emozioni. Ecco perché la forza delle radici può diventare un limite anche se il fascino della storia, della tradizione, della capacità di accettare ogni sfida sarà un richiamo per molti.

Oggi la borsa è più un peso che un’opportunità ma uscirne ha un costo: ricomprare tutto il flottante richiederebbe un’offerta pubblica a condizioni molto onerose, come minimo 200-300 milioni che Exor (benché molto liquida) dovrebbe giustificare ancora ai suoi azionisti di minoranza. Forse l’operazione con un fondo o una proprietà finanziaria toglierebbe molti impicci.

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Redazione Ilovepalermocalcio