L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma su Euro 2032 e l’assegnazione della competizione a Italia e Turchia.
Se l’Europeo del 2032 si giocasse oggi, la Nazionale di Spalletti scenderebbe di sicuro in campo all’Allianz Stadium, all’Olimpico e a San Siro. Sarà così pure tra otto anni e mezzo? Torino, Roma e Milano sono le tre tappe obbligate di un grande evento in Italia, ma la partita organizzativa resta aperta. Ora ci si chiede solamente se il vento tirerà nella direzione giusta. Se lo augura la Federcalcio, che intanto ha cominciato a soffiare con l’obiettivo di alimentare un «circuito virtuoso». Dalle parti di Via Allegri amano ripetere che sarà l’Europeo di tutti e la possibilità di farne parte dipende dalla volontà delle città e delle amministrazioni locali di portare a termine – in tempi congrui – opere di ammodernamento o rifacimento degli stadi. Alla fine saranno cinque quelli coinvolti, e altri cinque in Turchia. Ma potrebbero essere diventare sei a testa (l’idea piace a tutti) per coinvolgere ancora più territori. Nyon, del resto, lascia parecchio tempo alle federazioni: il termine ultimo per indicare le sedi è ottobre 2026.
SCELTE. Quando ad aprile 2023 la Figc ha consegnato il “final bid dossier”, decidendo di correre da sola, coinvolse Milano, Torino, Verona, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Cagliari. Dieci città, però, oggi sono troppe. Non avremo dunque un Mondiale come quello del ‘90, interamente organizzato in Italia, ma un evento ridotto e ibrido. A differenza nostra, la Turchia non ha un problema di stadi (tra il 2009 e il 2017 ne ha costruiti 21!), eppure si ritrova con lo stesso “problema”: dovrà scremare; partendo da alcune certezze: quelli di Fenerbahce (50 mila posti, rifatto nel 2010) e Galatasaray (53 mila, 2011) a Istanbul, del Demirspor ad Adana (34 mila, 2021), del Trabzonspor (41 mila posti, 2015) e il nuovo impianto di Ankara, in costruzione (55 mila seggiolini). L’Italia ripartirà da quel listone, ma le porte restano aperte anche per Palermo e Verona. Di sicuro, nei prossimi 1000 giorni chi vorrà partecipare dovrà correre. Non è necessario che i nuovi impianti siano edificati per il 2026, ma i progetti dovranno essere già approvati e finanziati entro quella data. Per una volta, insomma, nel Paese del “prima ho le rassicurazioni, poi procedo” potrebbe funzionare al contrario: stavolta il presupposto per avere l’evento in casa è chiudere l’iter amministrativo.
Napoli avrebbe bisogno di qualche ritocco, Cagliari da qui a tre anni dovrebbe già aver iniziato i lavori e lo stesso si può dire per Firenze, Bologna e anche per Bari, che tra pochi giorni ospiterà la Nazionale e sembra convinta a voler rifare l’abito al San Nicola. I 25 mila posti di Udine e i 21 mila di Reggio Emilia e Bergamo – tre stadi nuovi – non sono sufficienti. L’Uefa vuole almeno 30 mila posti. A differenza di Torino, anche Roma e Milano sembrano alle prese con questioni aperte: sul nuovo stadio della Roma a Pietralata si parla di prima pietra posata entro il 2024, la Lazio sta ragionando sulle varie opzioni a disposizione e lo stesso vale per Inter e Milan. Roma e Milano, però, non mancheranno alla grande festa e nella “peggiore” delle ipotesi avranno Olimpico e San Siro. «L’Europeo dovrà generare eredità positive ben prima di quell’appuntamento e non solo nelle città coinvolte» ha ribadito il ministro Abodi, che intanto sta pensando alla figura di un commissario per coordinare i processi. In un Paese che ha gli impianti più vecchi d’Europa (68 anni di età media) sarebbe già un passo in avanti applicare la legge esistente, il dlgs 38/2021, troppo spesso ostacolata dalle lu ngaggini burocratiche