L’edizione odierna del “Corriere dello Sporto” parla della tragedia sfiorata ieri.
Sono le 19.26 quando il maxischermo del Parken di Copenaghen dà l’annuncio: «Eriksen è stabile e sveglio». E’ in quel momento che la tensione si scioglie, gli spettatori sugli spalti cominciano ad abbracciarsi, ad applaudire, a gridare il nome Eriksen, Eriksen, Eriksen, un omaggio commovente al campione danese, e le lacrime di paura si tramutano in sollievo.
C’è qualcosa di miracoloso in quello che abbiamo visto ieri, in quell’unione poderosa e prodigiosa che è la speranza. E’ il minuto 43 quando Eriksen perde l’equilibrio e si accascia a terra in una posa rigida, innaturale. Nessuno scontro, nessun contrasto: Eriksen è da solo quando cade faccia a terra sul terreno di gioco. Ha gli occhi sbarrati e un braccio sotto al corpo. I compagni, ma anche gli avversari, capiscono subito la gravità della situazione. Si teme il peggio. Qualcuno gli va vicino, cerca di capire cosa stia succedendo. E’ Simon Kjaer, il difensore del Milan, capitano vero. Resta calmo, compie i movimenti giusti. Vuole assicurarsi che Eriksen non soffochi con la lingua – scrive il quotidiano -. Intanto entrano i soccorsi sul terreno di gioco. E’ sempre Kjaer che chiede ai compagni di formare uno scudo intorno al corpo di Eriksen. Per proteggerlo dagli sguardi del mondo. Rianimato. Sullo stadio scende un silenzio irreale, spaventoso. Eriksen, sempre a terra, prima viene girato dai soccorritori a faccia in su, i medici sentono il polso, ma poi gli viene praticato il massaggio cardiaco. La gente sugli spalti è pietrificata. Eriksen viene caricato su una barella e accompagnato fuori dal campo circondato da alcune bandiere finlandesi utilizzate come lenzuola improvvisate. Anche Sabrina esce dal campo, indossa la maglia numero 10: il numero di Eriksen.