“Doda: «Voglio la Serie A con questa maglia»”
L’edizione odierna del “Corriere dello Sport” riporta le dichiarazioni di Masimiliano Doda, difensore del Palermo, che ieri ha fatto visita a Piana degli Albanesi insieme a Kraja, ricevuto da Pino Caramanno, il tecnico della rinascita del Palermo, dopo la radiazione del 1986. Un ritorno alle origini. «Per la mia nazione è stata una settimana molto triste. Sono addolorato e vicino a questa gente che oggi sta soffrendo. Con Kraja, dopo l’allenamento, ci siamo recati a Piana, abbiamo conosciuto i membri della comunità e scoperto un gruppo di tifosi, “Piana rosanero” che ci ha accolti in maniera trionfale. Ci siamo ripromessi di tornare. Un pomeriggio di gioia, di riflessione e di emozione. Fino a sette anni, sono cresciuto a Rreshen una frazione del comune di Mirdite, poi i miei genitori sono andati in Italia per cambiare modello di vita. Papà Alexander faceva il poliziotto, ora il muratore, il saldatore e tante altre cose. Io e mio fratello Armelo siamo rimasti con il nonno e siamo arrivati a Genova dopo un paio d’anni. I primi mesi sono stati difficili per la lingua e il cibo, poi piano piano ci siamo ambientati». Dal sogno blucerchiato della serie A alla leggenda rosanero. «Ho aspettato fino all’ultimo che la Samp mi offrisse un contratto. Invece, mi hanno scaricato, non facevo più parte del progetto. Non me l’aspettavo. Ero nelle giovanili con mio fratello Armelo che invece è rimasto. Il mondo mi è cascato addosso. Subito dopo ho avuto una richiesta dal Foggia, poi dal Palermo. Non ho avuto dubbi e ho spinto il procuratore a chiudere al più presto». La sua vita a Rreshen? «In parrocchia e per strada, a tirare calci ad un pallone, le porte disegnate con i nostri indumenti o con le pietre. Andavo a scuola, mangiavo e giocavo. Sempre le stesse cose. Non c’era nient’altro, neppure telefonini. Frequentavo un bar sotto casa per seguire il Milan, la mia squadra preferita, avevo un debole per Kakà, il primo idolo». Passione ereditata da papà. «Buon calciatore, difensore nella A e nella B albanese. Mamma Rita mi portava a vedere le sue partite, avevo tre anni, ne rimasi affascinato. In famiglia siamo tutti calciatori: papà, fratello e zii». Solo pallone? E a scuola? «Mi manca l’ultimo anno per completare il liceo delle scienze umane. Studio la sera, farò gli esami a Genova, dopo la promozione in C. L’idea era quella di diventare professore di ginnastica per collegare insieme lo sviluppo della società, le relazioni sociali e lo sport». Che figlio è Masimiliano? «Tranquillo. Che ama i genitori. Mamma è il punto di riferimento. Sono single. Vivo a Mondello insieme a Fallani e mi trovo bene. Mattia cucina, io lavo i piatti». Due soli gol in carriera, divisi tra Samp e Palermo. E pensare che … «… Nella Rivarolese, la squadra del quartiere di Genova dove abito, facevo il trequartista o la punta esterna. La Samp mi prese perchè segnavo come Ricciardo o Sforzini. Fu Alessandro Ghillino a cambiarmi ruolo. Così, da Kakà sono passato a Dani Alves. La mia bandiera resta comunque Hysaj. Un giorno mi piacerebbe essere guidato da Sarri. E conoscere Mourinho». Nella Samp ha visto passare: Mihajlovic, Zenga, Montella, Giampaolo. Chi ha lasciato il segno? «Ho avuto la fortuna di allenarmi con Giampaolo, maniacale per la fase difensiva. Da milanista, mi dispiace per il suo esonero: è persona seria e i risultati parlano per lui». Domani in trasferta contro il Giugliano che in casa ha sempre vinto. «Con la vittoria sul Messina abbia mo ritrovato entusiasmo e sorrisi. Vogliamo i tre punti. Siamo il Palermo, la mia ambizione è di esordire in A con la maglia rosanero». Pergolizzi? «Non molla un attimo, ci fa stare concentrati e riesce a tirare dalle nostre prestazioni sempre qualcosa in più. Ed è un grande lavoratore. Con lui vietato sbagliare. Obbligati a vincere per la storia? Non ci pesa. Anzi, abbiamo più stimoli».