Corriere dello Sport: “Diamo i numeri? Così la serie A sceglie la maglia: la 5 di Pjanic, la 19 di Banega, la 99 di Milik, tra omaggi e affetti, superstizioni e marketing. Palermo…”

I numeri sono tatuaggi che durano un anno. Oppure una vita. Totti, 10. E andate in pace. Scegliere un numero significa ribadire la propria identità. Ricordare con nostalgia i tempi in cui regnava la solitudine dei numeri dall’1 all11 è come rimpiangere Heidi che scende dai monti, mentre le caprette le fanno ciao. Heidi è cresciuta, chissà che vita fa adesso, il Vecchio dell’Alpe fa l’amministratore delegato, la casetta è diventata uno store, la maglia è un prodotto, un «brand» da vendere. Non è la dura legge del gol, ma quella del merchandising. Per informazioni, chiedere a Ibra. Sbarca a Manchester, sfila la 9 a Martial (fatti più in là, ragazzo) e vende – Ibra – in una sola settimana 800.000 maglie, fanno 90 milioni. Numeri da Premier, in Italia viaggiamo su altri livelli. La numerazione a raglio risale alla stagione 1995-1996. Da allora: casino organizzato, fate un po’ come vi pare. Da segnalare quest’anno la n.10 in via di estinzione. Pesa troppo. Quattro squadre senza: Juventus, Napoli, Chievo e Sassuolo. Il 10 si è ridotto, come dopo un giro in lavatrice col programma sbagliato. Ed è diventato 5. L’ha scelto Pjanic nella sua nuova avventura alla Juve, se l’è preso Bonaventura – che l’anno scorso aveva il 28 – al Milan. Indizio: l’idolo di entrambi è Zidane, che il 5 lo indossava al Real (ma aveva il 21 alla Juve). Scegliere un numero è diventata un’operazione di diplomazia. Quando il Cagliari ha preso Borriello, il buon Colombo ha fatto il tenente: e si è messo sull’attenti, liberando il 22. A proposito: 22 per Borriello significa «Il compleanno di mia madre, la morte di mio padre, il numero civico dove abito». Il contestatissimo Sosa ha scelto il 23 rossonero. «Come Michael Jordan». Sì, vabbè. (La stessa scelta stile Nba l’avevano fatta ai loro tempi Ambrosini e Materazzi). La superstizione vale, ma fino a un certo punto: 13 e 17 hanno ampia cittadinanza in serie A. Pepito Rossi è tornato alle origini: 22 (la data di nascita di suo padre Fernando). Se un anno con un numero butta male, si cambia. Luiz Adriano non ha le idee chiare: dal 9 all’87 (anno di nascita) e poi al 7, Niang dal 19 all’11. I numeri sono sfide. Della serie: vediamo se faccio come lui. Talvolta c’è una forma di pudore: la 9 di Higuain è ancora libera, Milik ha scelto la 99, che un po’ le somiglia. L’ungherese Sallai a Palermo ha preso il 20 che era di Vazquez. Provaci, ragazzo. La 10 che a Udine è stata di Di Natale ora la indossa un ragazzo di belle speranze: De Paul. Nagy a Bologna ha scelto il 16. «Come il mio idolo Busquets». Se poi l’idolo va in moto, come Nicky Hayden, allora ti prendi il 69, come ha fatto Meggiorini. Banega ha spiegato perché ha scelto il 19: «Perché ho un amico caro che in passato mi diceva che se avessi scelto questo numero mi avrebbe portato fortuna. L’ho fatto contento». Basta poco, in fondo, per dare i numeri. Sia utile questa storia: Pelè ebbe la 10 per caso. Ai Mondiali del 1958 in Svezia il Brasile mandò la lista senza segnalare i numeri. Un impiegato della Fifa andò a caso. A Gilmar, il portiere, diede il 3. Al ragazzino, Edson Arantes eccetera detto Pelè, capitò il 10. La storia, di Pelè e del 10, la sapete. Questo ci deve fare riflettere: siamo noi a scegliere il numero o è il numero che sceglie noi? Nel dubbio, tana libera tutti“. Questo quanto riportato nell’edizione odierna del “Corriere dello Sport”.