L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sull’arbitro Di Bello finito nell’occhio del ciclone dopo Lazio-Milan.
Arrivederci a maggio. Non è stato un bel “giorno dopo” per Marco Di Bello. Anzi. «Un arbitro finito» commentavano (anche con dispiacere) nelle segrete stanze della CAN e dell’AIA. Troppo quello che ha combinato. Per tornare in campo bisognerà aspettare una mesata. Per rivedere la A, se tutto andrà bene, maggio appunto, col campionato che finisce il 26. Marco Di Bello è un ragazzo d’oro, impegnato nel sociale. È testimonial dell’Avis (l’associazione che raccoglie i donatori del sangue, non ce n’è mai abbastanza), dell’Ail (contro le leucemie) e dell’Aido (per la donazione degli organi).
Lo conferma la sua pagina Instagram che, fra tanti memorabilia della sua vita da direttore di gara, annovera anche le sue iniziative umanitarie. Ma da ieri è nell’occhio del ciclone per Lazio-Milan, dove ha sbagliato tutto quello che era umanamente (e non) possibile sbagliare. Rigore non dato su Castellanos, tre cartellini rossi sbagliati tutti e tre, gestione della partita, dei rapporti con i giocatori, totalmente errati. Ha “beccato” una confidenziale (la lettera di richiamo che succede in tutte le aziende quando si commettono errori gravi), ma era logico. Come lo stop tecnico, il secondo della sua stagione dopo Juve-Bologna. Forse bisognerebbe cominciare a fare qualche riflessione in più.
BOCCIATO. Perché gli errori che sono arrivati sono talmente grandi, talmente poco spiegabili, che hanno demoralizzato il designatore della serie A, Rocchi. Di possibilità d’appello ne ha date diverse, Rocchi a Di Bello, cercando di recuperarlo, “rischiando” anche dopo aver parlato con lui. Un internazionale merita partite di livello, soprattutto ora che le turnazioni sono finite e il designatore affida le gare a chi gli fornisce garanzie. Di Bello è sempre sembrato in affanno, ma provare a recuperarlo poteva essere una buona idea. Da qui, Lazio-Milan. Buona idea naufragata davanti ad un rigore chiaro (per la Commissione, il meno grave degli errori), il rosso a Pellegrini (bastava fischiare la manata di Bennacer su Castellanos o interrompere il gioco prima della “furbata” di Pulisic, complimenti al quarto uomo Sacchi), quello a Marusic (ok il vaffa, ma fatto lontano poteva essere gestito) e quello a Guendouzi, quando ormai le mucche erano scappate dal recinto. Fermo un mese, poi da metà aprile un bel po’ di B, quindi – se tutto andrà bene – una serie A. Ha preso un voto basso, 8.30, dall’osservatore e gli è andata bene (il voto suo era 8.20, il più basso). Ci fosse stato l’Organo Tecnico, avrebbe rischiato la carriera.
AMARO. Marco Di Bello è un bravo ragazzo, lo dimostra anche la cena di mercoledì scorso, con amici e compagni di avventure (arbitrali) per celebrare, con un premio, lo sfortunato ragazzo (e anche arbitro) Daniele De Santis, ucciso con la sua fidanzata nel 2020 a Lecce. Il premio, istituito dalla sezione guidata da Paolo Prato, è andato a Daniele Orsato. Era a Lecce, Orsato, mercoledì, prima di presentarsi puntuale al raduno di Coverciano, effettuare il test chiamato “OFR” con Werner Helsen, responsabile della preparazione atletica della UEFA di Rosetti (presente anche lui). Erano tutti a Lecce, Di Bello, Orsato e i colleghi Giovanni Ayroldi e Pezzuto (accompagnato dal fratello, arbitro della CAN5), l’assistente Cipressa, uno dei vice di Rocchi, Antonio Damato, e il presidente del CRA Puglia, Celi. Tutti pugliesi per una causa giusta. Giovedì Di Bello è arrivato a Roma, 24 ore prima della sfida dell’Olimpico, come da prassi. Per quella che rischia di essere la sua ultima in A stagionale.