L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul Mondiale in Qatar con l’eliminazione del Portogallo di CR7.
Declinare il suo nome al passato è quasi scioccante, ma l’ha voluto lui. Cristiano è scappato via da tutto e da tutti, a cominciare da se stesso. Ora scoppia a piangere, tenero e fragile quando per primo si infila negli spogliatoi, perché sta realizzando che è finita. Via dal Mondiale, via dal Mondo. Dicono che da Doha si sposterà solo di 600 chilometri, aggiungendo tanti milioni al patrimonio, ma fondamentalmente sparirà.
COMMIATO. Il suo declivio si spegnerà in un rosario di applausi commerciali senza alcuna rilevanza sportiva. Dev’essere dura così, a dispetto di una ricchezza che supera i margini della razionalità. Ronaldo era abituato a sentirsi desiderato e blandito. Saluta l’élite da persona sola. Triste. Non lo ha cercato più nessuno, a parte i sauditi. Lo ha ripudiato persino il Portogallo, suscitando l’indignazione del clan familiare. Esplosa anche ieri a l termine della partita, attraverso i social della moglie Georgina (« O g gi il tuo amico e allenatore ha deciso male. Non si può sottostimare il giocatore più forte del mondo, l’ a rma più poderosa. Nemmeno si può mettere la faccia per qualcuno che non lo merita. La vita ci dà lezioni, oggi non abbiamo perso, abbiamo imparato ») e quelli della sorella Elma Aveiro (« H a nno ucciso l’uomo, hanno ucciso una nazionale, hanno ucciso una nazione»). Per il grande calcio da oggi diventa un ex. Ronaldo d’Arabia, sempre che davvero decida di andarci, è la lettera scarlatta di un epilogo inevitabile: il tempo è un avversario che non si dribbla.
RASSEGNAZIONE. Ai posteri l’ardua sentenza. Napoleone è morto su un’isola ma come leader era stato già travolto dalla campagna di Russia. Anche Ronaldo, che su un’isola ci è nato, ha imboccato la sua parabola discendente in Russia, al Mondiale del 2018. Ha continuato a segnare tanto, nella Juventus e in Nazionale, ma non riusciva più a determinare i risultati. Non sapeva e non poteva più gestire la differenza. Da uomo squadra è diventato un uomo e basta, senza perdere il narcisismo che gli dettava condizioni feroci: per nutrirsi Cristiano doveva inseguire altri record, altri boati, altre conferme.
EGO. Paradossalmente in Qatar era arrivato con le migliori intenzioni. Mai come stavolta, dopo aver bruciato il rapporto con il Manchester United, si era messo in gioco partecipando al Mondiale da svincolato. L’obiettivo di vincere l’unico trofeo che mancava alla sua favolosa collezione era un ottimo stimolo superare un altro limite. Del resto all’Europeo 2016 aveva festeggiato, sì, ma da comprimario, perché nel giorno della finale con la Francia si era fatto male dopo 25 minuti. Ma poi è ricaduto dentro le sue debolezze. Dopo il rigore al Ghana, che lo ha fatto entrare nella storia come unico calciatore ad aver fatto gol in cinque edizioni diverse del torneo, si è illuso di essere ancora il più grande. Ha preteso di nuovo di essere il centro del Portogallo. Ha mandato a quel paese, parola più parola meno, un commissario tecnico mite che ha sempre manovrato con superbia, convinto di essere intoccabile a prescindere. Ma nel frattempo ha perso la fiducia dei legionari e del popolo: la squadra era stanca di girare attorno a un campione in declino, la gente chiedeva attraverso i sondaggi di escluderlo dalla formazione, lo stesso Santos ha capito che era il tempo della svolta generazionale.
RICORDI. La sommatoria degli elementi ha generato una miscela tossica. Il Portogallo, dopo aver incenerito la Svizzera, è stato eliminato lasciando strada all’entusiasmante Marocco, che guarda caso punta tutto sull’anima di un collettivo coeso. E’ una lezione , pensare alla comunità, che Cristiano non imparerà ma i suoi connazionali sì: adesso scatta l’era di Joao Felix, Rafa Leao, Gonçalo Ramos e tutti gli altri, che in qualche modo sono stati frenati dalle manie di protagonismo di un fuoriclasse in caduta libera.
MALINCONIA. E’ un peccato che Ronaldo, a differenza di altri campionissimi, non abbia voluto affrontare la realtà prima che gli venisse sventolata con crudezza davanti a gli occhi gonfi di lacrime . Ma niente potrà cancellare quello che è successo in questi vent’anni. Prima di crollare, vittima di un personaggio, Cristiano è stato il simbolo di una professionalità maniacale. Non ha avuto in dono il talento di Messi. Ma ha potuto sfidarlo alla pari – qui dipende dai gusti – attraverso il lavoro, la disciplina, l’attenzione. Ha costruito da solo il suo futuro e forse per questo ha preteso di governarlo fino alla fine, sulla scia di 33 titoli e 5 Palloni d’oro. Gli sono mancati il Mondiale, che non era comunque semplice da vincere per un portoghese, e forse il bene più prezioso e irraggiungibile per i geni: la felicità. Magari però ci sorprenderà ancora, alla soglia dei 38 anni: anche Napoleone è tornato tronfio dall’Elba, quando non sapeva che avrebbe perso a Waterloo.