Corriere dello Sport: “Cr7 e O Ney, via allo show”
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla gara di oggi tra Portogallo e Ghana.
Purtroppo questo mondo ha bisogno di antieroi. Eccoli a voi serviti sullo stesso schermo. In film diversi, per il momento. Ci sarà tempo, sperano entrambi, per un crossover, nei turni a venire. Oggi alle 17 Cristiano Ronaldo guida il Portogallo davanti al Ghana e alle 20 Neymar arricchisce il Brasile contro la Serbia. A chiudere il primo ciclo di partite del Mondiale. Tutti gli eroi si sono già esibiti, qualcuno ha vinto, qualcuno ha pareggiato e qualcun altro si è schiantato scoprendo di non saper volare. Gli antieroi, com’è tradizione narrativa, si presentano per ultimi. Così producono più ansia e danni.
Non sono poi tanto cattivi, in verità, ma li descrivono in un certo modo. E a loro va benissimo. Preferiscono incutere timore piuttosto che suscitare affetto. Unica eccezione, la maglia delle rispettive Nazionali. Con quella addosso hanno ottenuto risultati differenti, con Cristiano in notevole vantaggio, ma hanno sempre mostrato gioia di esserci e rabbia di fallire. Il torneo che stanno disputando qui e ora non è mai stato loro amico, è vero, però c’è ancora tempo per cambiare il Mondiale se non il mondo.
È discutibile se sia andata peggio a Neymar, in materia. Il brasiliano di Mondiali ne ha fatti due, quello del 2018 soprattutto rotolando in terra e abbracciando palloni mentre supplicava mentalmente l’arbitro di concedergli la punizione. Fu così che nacque la sua fama di cascatore, derubricata da amici e parenti ad abitudine professionale presa nei giorni in cui, giovanissimo, doveva battersi con avversari assai più esperti. Adesso c’è chi pensa che il Brasile tutto sommato se la sia sempre cavata meglio quando Neymar era altrove. E invece lui non ringrazierà mai abbastanza Zuniga, che nel 2014 gli incrinò una vertebra e gli risparmiò il Mineirazo, cioè la semifinale in cui la Gemania tritò il Brasile. Finì 1-7, casomai fosse necessario ricordarlo.
Di Neymar si dice molto, a ragione, a torto e a sproposito. Ha segnato parecchio, ha vinto parecchio e in particolare la Champions con il Barcellona, il primo dei due ori olimpici del Brasile a Rio 2016 e lasciamo stare l’incetta di titoli francesi con il Paris Saint-Germain. Di Ronaldo si dice ancora di più, se non altro per abbondanza di materiale. Ci sono sette anni di differenza tra i due e non è una briciola di tempo neppure per la frenetica clessidra in cui si frulla il calcio. In comune, esotericamente, hanno il giorno di nascita, il 5 febbraio. E soprattutto la fama di essere egoisti o meglio egocentrici. Ronaldo per la volontà di rimodellare a sua immagine per forza fisica e mentale qualsiasi squadra in cui metta piede, compresa la Casa Blanca del Real in cui ha giganteggiato con quattro delle sue cinque Champions. Per esempio, alla Juventus si è sentito messo alle corde dalla sua presenza Paulo Dybala, che tutto sommato qualcosa sul pallone ha da dire. Al Manchester United, dov’è tornato dopo dodici anni, Cristiano ha trovato, racconta lui, una decadenza inaspettata. Oppure, racconta il club, una realtà duratura e prestigiosa di cui Ronaldo non è riuscito ad accettare l’ombra. Fatto sta che, da un’intervista feroce del giocatore alle minacce di azioni disciplinari della società, martedì è arrivato l’annuncio della rescissione consensuale del contratto. Significa che Ronaldo attaversa il Mondiale da esodato, e da esodato vero perché tutti lo vogliono ma prenderselo sul serio è un’altra faccenda. Vale la pena ricordare che la proprietà ha anche dichiarato di essere pronta a valutare la cessione del club, il che significa che con o senza Ronaldo le cose non sono le stesse.