L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla gara tra Juventus e Roma e le polemiche sull’arbitraggio di Orsato.
Come passa il tempo quando ci si diverte. Più lento. Domenica sera, nel bel mezzo di una partita tra Juventus e Roma tiepida nei ritmi ma fondente di nervi e d’intensità agonistica, era sembrata trascorrere una clessidra intera tra il fallo di Szczesny su Mkhitaryan e l’appoggio in rete di Abraham. Abbastanza perché un arbitro che un anno fa è stato premiato come numero uno del mondo, Daniele Orsato, abbia tutte le opportunità di vedere, riflettere e risolvere.
Di conseguenza, fischiare il rigore trovandosi quindi costretto ad annullare il gol. Succede un monte di cose in quel ritaglio di minuto. Invece no. Quando si torna sul filmato dell’episodio il giorno dopo, ad adrenalina smorzata, ci si rende conto che quel tempo dilatato è un’illusione. In realtà Mkhitaryan cade, la palla rimbalza tra lui e Locatelli, arriva Abraham e la mette in porta. E’ roba di un istante, semplice così finché non sopraggiungono gli storici a fare confusione.
Da qui, supponiamo, sboccia la costruzione intellettuale, il qui pro quo marchiano trasfigurato in eccesso di bravura, che consente ai vertici dell’arbitraggio italiano di tenersi stretto Orsato per le prossime giornate. Per citare la formula usata da alcuni siti di informazione, secondo i dirigenti arbitrali si tratta di un errore-non errore: Orsato è stato talmente bravo a cogliere il fallo che si è dimenticato di indugiare.
Comprensibile: al miglior direttore di gara del campionato non si rinuncia per uno sbaglio e neppure per una partita gonfia di sbagli. Capita. Certo, sarebbe più facile apprezzare questa indulgenza interessata se Orsato avesse spiegato con lealtà l’accaduto: c’era già stata l’entrata di Danilo su Abraham che poteva essere rigore, al secondo intervento, più netto, ho fischiato subito, avrei dovuto aspettare un secondo, mi dispiace ma capita. Invece Orsato ha detto: «Vantaggio a fronte di un rigore non si dà mai». Probabilmente voleva essere un’iperbole, un’esagerazione della verità pronunciata allo scopo di rendere meglio l’idea.