“Made in China. Se il calcio europeo si gira di spalle, è quella l’etichetta che vedete. La cara vecchia Europa si sta consegnando mani e piedi (a noi qui interessano i piedi) all’impero cinese. Milan, Inter, Roma: quota su quota. Del resto: l’intera serie A è controllata da un gruppo immobiliare, un colosso di nome Wanda, che un anno fa si è pappato il 68% di Infront per un miliardo e cinquanta milioni di euro: così i diritti del nostro campionato – e di svariati altri eventi – appartengono ora a Wang Jianlin, il secondo uomo più ricco della Cina. Jianlin è proprietario anche del 20% dell’Atletico Madrid, quota comprata per quarantacinque milioni: per lui, bazzecole. E’ un modo per mettere radici, per sondare il mercato. L’economia europea ristagna, nessuno investe, avanti Cina dunque. Quattrocento i milioni di dollari spesi dal consorzio cinese guidato dalla merchant bank cinese Citic e da China Media Capital Holdings che ha acquistato il 13% del Football City Group, altri non è che il consorzio arabo che fa capo al Manchester City e ad altri club sparsi nel mondo tra Usa, Australia e Giappone. Domanda: perché il City? Perché è una delle squadre più global del pianeta. E solo in Cina ha settanta (70!) milioni di fans. Una fetta alla volta, si stanno mangiando la torta. E i club si adeguano: il Manchester United ha trovato un accordo con Sina Sport, il colosso televisivo cinese, per un canale tematico che quotidianamente aggiorni i telespettatori su Rooney e Martial. Previsti cento milioni di cinesi collegati con Old Trafford. In Olanda la United Vansen International Sport Co. ha acquistato il club dell’Ado Den Haag. In Portogallo hanno capito l’aria che tira e hanno venduto l’equivalente della nostra serie B alla Ledman Optolelectric, azienda con sede a Shenzhen. POTENZA DI FUOCO. Prima i gruppi cinesi si muovevano nel silenzio, talvolta osteggiati, spesso guardati con sospetto. Ora rappresentano una delle pochissime vie di fuga lì dove il calcio ha il respiro corto. La Cina è il motore dell’economia asiatica. E’ un Paese giovane, ha un potere d’acquisto che solo i principi sauditi possono eguagliare. La Premier League è il campionato più visto, ma la nostra serie A mantiene comunque il fascino polveroso della storia ed è – soprattutto – terra di conquista più semplice. In Spagna piantata la bandierina a Barcellona, sponda Espanyol: il 54% del secondo club catalano appartiene al Rastar Group, fanno videogames e giochi elettronici. In Inghilterra c’è più concorrenza: 12 club (su 20) della Premier sono in mani straniere. In serie A, al momento, solo Roma e Inter hanno proprietari non italiani. Il primo club italiano ad essere comprato dai cinesi è stato il Pavia nel 2014 da Xiao Dong Zhu, boss del fondo Pingj Shanghai Investments (telefonia). Non tutto è filato liscio, anzi: debiti, ombre (cinesi), bonifici all’estero che spariscono in un battibaleno. Ma la Cina da un paio d’anni si sta muovendo in grandi forze. Ci soffia i top-player, Alex Teixeira pagato 50 milioni, Jackson Martinez 42, l’Hebei Fortune ne ha sborsati 18 per Gervinho; chiama i maestri di calcio, il primo è stato Lippi a Guanghzou (30 milioni per tre anni), compra a scatola chiusa un’intera squadra – otto giocatori del Corinthians campione di Brasile – lavora per rendere il calcio pop (diventerà materia scolastica), investe sullo sport di base (il piano di Stato prevede un esborso nei prossimi anni di 900 miliardi di dollari) e fa programmi a lunga scadenza. Entro il 2030 il governo ha annunciato un campo da calcio ogni 10.000 cinesi. E’ stato previsto che nel 2030 cinquanta milioni di cinesi giocheranno a calcio. Avete idea di cosa significhi? Significa diventare una potenza. Nel mentre puntano a portarsi a casa un Mondiale: 2026 e 2030 le caselle ancora libere. Lo diceva Mao: «La rivoluzione non è un pranzo di gala, ma un atto di violenza». Prepariamoci all’invasione. Ah no, ci hanno già invaso”. Questo quanto scritto dall’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.