L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma su Christian Eriksen e l’ultimo miracolo chiamato Nazionale.
L’uomo che ha conosciuto il paradiso per cinque minuti e poi è tornato sulla terra, mentre un santo protettore e un defibrillatore gli salvavano la vita, continua a essere un miracolo che unisce ogni casa del mondo, perché il 12 giugno tutti si sono sentiti il papà, la mamma, il fratello e la sorella di Christian Eriksen. È il campione che indossa idealmente una maglia da calcio in cui ogni tifoso si riconosce. Si era addormentato sul prato del Parken Stadium: le lacrime della moglie Sabrina, lo scudo dei giocatori della Danimarca intorno a lui per nasconderlo ai fotografi e alle telecamere, il massaggio cardiaco, la paura, le preghiere, il silenzio della morte, la barella, il risveglio
. È nato due volte, Christian: il 14 febbraio del 1992 a Middelfart, in un piccolo ospedale sull’isola di Fy n , e il 12 giugno del 2021, quando il suo cuore ha ricominciato a battere e tutti hanno mandato un bacio a questo ragazzo che all’Inter continuano a ricordare per l’educazione, lo stile, l’eleganza, il rispetto, e non solo per lo scudetto vinto da protagonista. Dopo i cinque minuti trascorsi su quel confine misterioso che separa la terra dal cielo, Eriksen si è ripreso la straordinaria normalità che il destino gli stava scippando. Ha ricominciato a ridere con Sabrina, il suo angelo custode, e con i figli Thomas e Dorthe. E poi ad accarezzare un pallone in giardino, nella sua villa a Odense, durante la convalescenza. Ha riabbracciato gli amori e gli affetti, in attesa di tornare anche alla sua quotidianità di calciatore. Non cercava un ingaggio, uno stipendio, ma solo un altro pezzo di quella vita che gli appartiene.
Gli è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo, come a Daley Blind, leader dell’Ajax e della nazionale olandese. Ha superato gli esami di idoneità. Il divertimento ha ripreso lentamente forma. Poi sono arrivate le telefonate di Matthew Benham, proprietario del Brentford, una laurea in fisica all’Università di Oxford, e del presidente Cliff Crown, un piccolo mago della finanza. Più avanti lo ha cercato Thomas Frank, l’allenatore danese del club biancorosso, promosso nella scorsa estate in Premier League dopo settantaquattro anni. Gli ha dato le chiavi del Brentford. Così Eriksen ha firmato un contratto fino al 30 giugno: non c’è stata una trattativa sui soldi. Ha ricevuto la maglia numero ventuno. Ha iniziato ad allenarsi a Hounslow, nel centro sportivo delle “Bees”. E il 26 febbraio ha debuttato contro il Newcastle. Trentotto minuti, è entrato al posto di Mathias Jensen. Dal 5 marzo è tornato titolare: applausi nella sfida vinta per 3-1 sul Norwich. E sabato scorso, nel 2-0 al Burnley, altro appuntamento decisivo per la salvezza, Eriksen ha inventato l’azione del primo gol di Ivan Toney.
I tabloid lo hanno celebrato così: “The ace is back”, l’asso è tornato. Ha regalato sei punti in due partite, senza essere mai sostituito: +8 in classifica sull’Everton e sul Watford, che occupano il terzultimo posto. Ma la sorpresa più bella l’ha ricevuta domenica, intorno all’ora di pranzo, quando il ct Kasper Hjulmand lo ha chiamato e gli ha preannunciato il ritorno in nazionale per le due amichevoli con l’Olanda e la Serbia. E ieri la lista dei convocati è diventata ufficiale. Un altro momento speciale. La perfetta chiusura del cerchio, a distanza di 276 giorni dall’arresto cardiaco durante la gara degli Europei con la Finlandia.