Corriere dello Sport: “Chi rompe non paga”
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si è soffermato sui club e Nazionali e sui danni non pagati.
Pima o poi arriverà un Bosman che sbroglierà il groviglio Nazionali. Siamo vicini a un altro storico punto di rottura nel mondo del calcio. Oggi è persino di tendenza che i giocatori arrivino a scadenza di contratto per poi scegliersi liberamente la nuova squadra. Gli esempi sono innumerevoli. Un tempo non era possibile. Lo divenne, nel 1995, grazie a un anonimo calciatore del Liegi – Jean Marc Bosman – che portò il proprio caso davanti alla Corte di Giustizia Europea. Riteneva che il club di appartenenza, il Liegi, non potesse opporsi – a contratto scaduto – al suo trasferimento ai francesi del Dunkerque.
L’Europa stabilì che il divieto costituiva una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori. Fu l’inizio di una nuova era nel calcio. Di cui, probabilmente senza saperlo, ancora oggi godono i Kessie, i Vlahovic, gli Alaba, i Donnarumma. L’elenco è lungo.
Il calcio è vicino a un’altra svolta. Riguarda le Nazionali. La debolezza è sempre la stessa. Il modello in vigore non contempla il principio base del capitalismo: chi ha i soldi, decide. Il sistema calcio fa sempre più fatica a far convivere l’architettura novecentesca con l’industria del business che è nata ed è cresciuta a dismisura attorno al pallone. Fifa e Uefa vorrebbero continuare a dettare le regole come accadeva quarant’anni fa. A far valere una gerarchia che appare sempre più anacronistica, oltre che opprimente e insostenibile agli occhi dei club che pagano la giostra ossia i calciatori. La Superlega non nasce per caso. “Follow the money” resta un principio imprescindibile. Spiega le corruzioni (la famosa frase è del film “Tutti gli uomini del Presidente” sul caso Watergate) ma anche le rivoluzioni. Il denaro spiega tutto. Sempre.
Il calcio rischia di implodere di fronte a una contraddizione tanto evidente quanto complessa da risolvere. Per la seconda volta consecutiva, la finestra delle Nazionali suscita una coda di polemiche e veleni. I calciatori sudamericani sono costretti a giocare le qualificazioni Mondiali due giorni prima degli impegni di campionato con i propri club. In Spagna sono state rinviate le partite del Real e dell’Atletico Madrid. Così come la scorsa volta venne accontentato il Barcellona. Un mese fa, la Juventus fu costretta a giocare a Napoli senza cinque sudamericani. E perse. L’Inter non sa in quali condizioni avrà Lautaro Martinez. La Roma rischia di giocare allo Stadium senza Abraham che sudamericano non è ma si è infortunato con la Nazionale britannica.
Il calcio è diventato un’industria eppure l’aristocrazia del potere ritiene ancora di poter governarlo facendo valere il proprio diritto di nascita. Impone e dispone. Come nel caso della Coppa d’Africa. Con i club costretti a privarsi dei propri calciatori per circa un mese, in pieno svolgimento dei campionati. Da un giorno all’altro andranno via Salah, Mané, Kessie, Osimhen, Koulibaly, giusto per fare qualche nome. Calciatori che potrebbero infortunarsi e rendersi indisponibili per mesi. Senza Nazionali, chissà quanti scudetti avrebbe vinto il Cagliari di Gigi Riva.