Corriere dello Sport: “Casarin è sicuro. Presto il calcio senza arbitro: «Un dirigente importantissimo mi ha spiegato che il calcio va in questa direzione»

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” riporta un’intervista a Casarin il quale si sofferma su vari temi.

Paolo Casarin, 83 anni, trenta da arbitro, sette da designatore («incarico che ho svolto gratuitamente») e da ventuno una sorta di cassazione sulle pagine del Corsera, mi sorprende svelando il suo lato spirituale: «Per lavoro sono stato in 108 Paesi, ero uomo Eni: ho inseguito il petrolio prima del pallone. Insomma ho viaggiato tanto e eletto il Tibet, il Nepal, a mio altrove. Non so se ci sei mai stato, quei posti, quella gente, la profondità dei loro sguardi, un’esistenza non riconducibile alle determinazioni dell’esperienza, mi hanno invaso. Il Tibet è spiritualità a chili. Ti racconto un episodio, se c’è il tempo».

Lo troviamo. «Sono a Lhasa, viaggio di piacere, mi dicono che a pochi chilometri da noi sta per essere celebrata una funzione religiosa, la mistica, le trombe Dung-Chen, ci siamo capiti. Mi piazzo sotto il tempio, sulla scalinata, all’ultimo gradino, tantissimi turisti, siamo fitti fitti. Arrivano i giovani monaci, a una quindicina di metri riconosco il loro sacerdote, un tipo minuto, capelli e barba bianchi. D’un tratto incrocia il mio sguardo, strano e casuale, penso. Altrettanto stranamente si apre un varco tra la folla e lui si avvicina. Me lo ritrovo di fronte, io alto un metro e 90, lui uno e sessanta, ma di una potenza infinita. Mi guarda, rimango stecchito, e mi mette una mano sul cuore. Non puoi capire la sensazione… Rientrato in hotel, resto per ore come stordito, poi vengo a sapere che si è trattato di un episodio insolito, lui va dove vuole e quando vuole, mi viene spiegato. Due anni dopo ho avuto l’infarto, è stato come se mi avesse voluto avvisare. Da qualche parte ho letto una frase che mi è molto piaciuta: “l’anima, che per l’uomo comune è il vertice della spiritualità, per l’uomo spirituale è quasi carne”… Prima di morire spero di poter tornare in quei posti».

Passiamo dalla carne al sangue – metaforico – delle polemiche arbitrali. «Mi d evi consentire una premessa. Ho 200 partite in A e 150 in B, ai miei tempi l’alternanza, l’avanti e indietro, su e giù, rientrava nel percorso di crescita. Oggi i cosiddetti esperti dirigono solo in serie A. Dico: vai indietro a rifarti. L’arbitro è presuntuoso, dopo qualche gara di campionato pensa di essere il più bravo del mondo e allora va punito e riportato a terra. Io certe cose le ho vissute, provate, pagate anche. Mi sono formato sotto Campanati, affiancato da D’Agostini, e in seguito con Ferrari Aggradi, alta scuola, capace – lui, sì – di fare crescere gli arbitri».

Perché ti sei fatto arbitro? «Mica prete… Per colpa di un caro amico che ha fatto il calciatore, Dino Panzanato, quasi 200 presenze nel Napoli. Più vecchio di due anni. Io, mestrino, ero quello che studiava, mentre lui, nato a Venezia, lavorava come tornitore. Abitavamo vicini e mi portava spesso il pranzo di mezzogiorno. Non ero in grado di fare qualcosa di buono con i piedi, perciò mi sono iscritto alla sezione di Mestre, dove c’erano Rigato, Angonese».

Ho letto il tuo intervento sul mancato rigore all’Ucraina e la spiegazione del metro di giudizio di Gil Manzano non mi ha convinto: mi è sembrata l’affermazione della soggettività. Per la serie: ognuno arbitra secondo il proprio stile. «In Spagna sono portati a non concedere i rigorini. Manzano, che a pelle mi sta anche sui coglioni, di rigori ne dà pochissimi».

Rigorino quello? «Anch’io l’ho visto alla tv. Sulle prime ho pensato fosse netto, poi ho notato che Mudryk accentua la caduta, quel volo non può essere frutto del tocco di Cristante. Gil Manzano, dal cam po, ha avuto una percezione più precisa dell’intensità. Per me il rigore dev’essere risarcimento, non regalo. L’arbitro non deve regalare, è una cosa che ho cercato di trasferire ai miei colleghi quando facevo il designatore. Il difensore con un fallo ha impedito all’avversario di segnare? Rigore. Il fatto è che non siamo ancora usciti dalla pandemia dei rigorini, ci vorrà molto tempo per aggiustare le cose. Concetto Lo Bello aveva una media di 0,25 rigori a partita. Bisogna tornare a un calcio forte nel quale l’accentuazione di certe cadute, per non dire la simulazione, va bandita. Dal campo l’arbitro capace sa valutare l’intera dinamica di un intervento falloso. Le regole restano due: integrità e fuorigioco. Oggi in una partita la media dei fuorigioco è di 4, ai tempi di Sacchi e Zeman si arrivava a venti».

Cosa intendi dire? «Il calcio è uno sport da punteggio basso. Nel 2017, secondo uno studio elaborato dall’Uefa, la media dei gol di un campionato top era di 2,6 a partita. Questa tendenza a voler aumentare il numero delle reti nel nome dello spettacolo produce effetti fallimentari. Assolutamente peggiorativi sono i continui cambiamenti regolamentari e protocollari. Ma vogliamo parlare del benedetto fallo di mano in area?».

Tutta colpa della tecnologia. «Una persona importantissima mi ha spiegato che tra qualche anno prenderà il posto dell’arbitro, una figura destinata a sparire. Io quel giorno non voglio esserci».

Infantino vuole allungare i tempi di gioco. «Fino a qualche anno fa si giocava 59, 60 minuti. Se si aumentano i minuti effettivi, si gioca con due marce in meno e non ti dico le pause, le interruzioni».

Che designatore sei stato? «Ho salvato molte famiglie. Per arbitrare devi stare benissimo con la testa. Non puoi portare in campo le tensioni di casa».