L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul cambio in panchina al Benevento e l’imminente arrivo di Fabio Cannavaro.
Un sito specializzato scrive: a Benevento ci sono fantastici percorsi ciclabili. Magari non lo sa o forse si, chissà, però l’idea di coltivare la sua grande passione nelle pause dal grande amore gli strapperà di certo un sorriso. Il famoso sorriso di Fabio Cannavaro: un po’ hollywoodiano e un po’ scugnizzo. Assolutamente ponderata, invece, è la scelta di accettare la panchina del Benevento a 49 anni e dieci di esperienze all’estero tra il Mondo Arabo e la Cina.
La Strega vola un po’ malconcia non lontano da Napoli e dalla Loggetta, il quartiere suo e di Pasquale Foggia, ma dopo tredici mesi di attesa e proposte ha sciolto il sortilegio e l’ha convinto. Oggi firmerà fino al 2024: guadagnerà circa 500 mila euro netti il primo anno e un milione il secondo, più bonus. «Ho parlato con persone senza stimoli, ma serve sempre un obiettivo. Alto o basso che sia», disse a giugno. Evidentemente l’ha trovato ed è tornato a casa di corsa. In corsa e in Serie B. La squadra è tredicesima con 7 punti in 6 giornate, a -8 dalla vetta, ma un ciclista se ne frega delle salite: le affronta. E allena: non vedeva l’ora, Cannavaro. E anche l’Italia: di ritrovarlo.
IL PREDESTINATO. E allora, la lezione di Fabio: mettersi in gioco e dare l’anima con umiltà. Salvezza, promozione, scudetto o Mondiale che sia. E lui ha vinto tanto sul serio, Mondiale compreso: nel 2006, da capitano epico e futuro Pallone d’oro (ultimo italiano). Cannavaro ha segnato un’epoca, è storia del calcio. E’ un fuoriclasse predestinato nel segno del D1OS: il 10 maggio 1987, giorno del primo scudetto del Napoli, era uno dei raccattapalle felici del San Paolo. Non riuscì a conquistare neanche un calzettone, niente, ma poco dopo entrò nel vivaio e poi in prima squadra. Tutti difensori centrali in famiglia (compreso suo figlio Andrea che gioca nella Primavera della Lazio); tutti folgorati da quella roccia di papà Pasquale. Straordinaria la carriera: Parma, Inter, Juve, Real Madrid, Nazionale. E Napoli, dicevamo, l’amore e la ferita eterni: dal 1992 al 1995, prima della cessione al Parma. «Ferlaino mi disse che se non fossi andato, la società sarebbe fallita per colpa mia. Accettai. E piansi».
Cuore, tanto: nella Fondazione Cannavaro Ferrara c’è l’anima. E poi, cose umane: la montagna in Abruzzo e il mare del Golfo con la moglie Daniela e i tre ragazzi. Magari in barca: una volta il Pocho Lavezzi comprò il suo Pershing e ne fece un charter. La sua ultima passione, invece, è la bici: 100 chilometri come un caffè con gli amici.
IL CAPITANO. Un amico è anche Foggia, il ds del Benevento: Fabio aspettava un progetto serio con ansia, considerando che l’ultima panchina con i cinesi del Guangzhou è datata 11 agosto 2021. In Cina è stato anche allenatore ad interim della Nazionale e ha conquistato un campionato, una Supercoppa e la promozione con il Tianjin. Sì: dopo l’Al-Ahli di Dubai da vice e l’Al-Nassr in Arabia, scelse la seconda divisione cinese. Tutto per gradi, con umiltà e intelligenza: la stessa che gli ha consigliato di prendere il diploma Fifa in Club Management e di accettare la Serie B nonostante le offerte del Leicester in Premier e della Nazionale polacca. Un bel segnale, la seconda lezione di Fabio: nel momento calcistico più buio del Paese, il capitano torna a casa. Vicino casa. A Pippo Inzaghi, altro eroe di Berlino, nel 2020 riuscì l’impresa della promozione sulla stessa panchina: da domani sfiderà la sua Reggina e il Frosinone di Grosso. Una B mondiale.