Corriere dello Sport: “Campionato, abbiamo già visto tutto? Tre retrocesse e otto senza obiettivi. Lo scudetto…”
“Tutto può succedere. Ma anche no. La sensazione è che qui tutto sia già sucesso. E così la domanda delle domande la fece un bravo e arguto collega ad Eugenio Bersellini quasi trent’anni fa. Bersellini all’epoca era l’allenatore di un Bologna in disarmo, ultimo in classifica e marchiato da una condanna preventiva: quella della retrocessione. Chiese il collega: Bersellini, lei crede in Dio? Il buon Eugenio – figlio di un capozona dell’Enel, cresciuto nelle Valli del Taro in tempi in cui la religione era una cosa seria – rispose con un impeto fanciullesco: certo che ci credo. Serafico, il collega lo gelò: e allora è meglio che lei cominci a pregare, perché solo così può salvare il Bologna. Questo per dire che: tutto è perduto, fuorché il rosario. SERIE A? UN’ANOMALIA. Date un’occhiata alla tabella a fianco. Siamo un’anomalia, anche per la nostra storia recente. E se allarghiamo lo sguardo e consideriamo l’Europa, siamo un’eccezione. Tre squadre – Crotone, Palermo e Pescara – che, citando il poeta Jovanotti, sono tre puntini, ma visti da lontano. Mai era successo che tra terzultima (Crotone) e quart’ultima (Empoli), cioè tra la condanna e la salvezza, ci fossero 11 maledettissimi punti. Come pensare di andare da una riva all’altra del Po, con un salto: hai voglia a prendere la rincorsa. Il Crotone ha vinto due partite su venti giocate, il Palermo due su ventuno, il Pescara una soltanto, a tavolino. Dietro si viaggia con una media di 0,45 punti a partita. Ne mancano sedici. Il che significa che – in proiezione – queste tre squadre avanti di questo (ehm, ehm) passo arriverebbero a 17-18 punti. Telefonate ad Empoli (prefisso: 0571) e dite loro che possono cominciare a far festa. Negli ultimi cinque campionati di serie A il distacco maggiore tra quartultima e terzultima c’è stato l’anno scorso: 4 punti tra Carpi e Sampdoria. Oggi siamo a (quasi) tre volte tanto. Il Carpi poi retrocesse, ma all’ultima giornata e più che dignitosamente. In Europa, poi, la lotta per non retrocedere è davvero tale. In Bundesliga, Premier e Ligue 1 sembrano quindicenni ad una festa: stanno tutti schiacciati. Nella Liga Sp.Gijon e Leganes sono separati da 5 punti, distacco ancora ricucibile. FUGHE DA FERMI. Ma sarebbe sbagliato puntare solo la lente di ingrandimento sulla lotta per la salvezza. Lo scollamento della serie A apre ad un’altra riflessione, che coinvolge il corpo centrale della serie A, le otto o anche nove squadre che vanno dai 30 punti del Torino ai 21 dell’Empoli. Praticamente metà serie A che, con il passare delle giornate, non può che affiliare altre squadre. E’ un gruppone di ciclisti gregari immobili, senza un dove. Fughe da fermi, a questo siamo. Lì nel mezzo c’è un vuoto a perdere. Squadre che – realisticamente – non hanno obiettivi, perché quello minimo è una lettera già arrivata, da sola, consegnata da un postino benevolo. Squadre che, oggi, devono trovare stimoli, motivazioni, spostare in là i paletti dell’ambizione, provare a immaginare orizzonti dove non ci sono. Da tutto questo nasce un problema di dislivello, la competizione viene meno, la sostenibilità dell’intero meccanismo viene messa in discussione. Queste squadre somigliano ai soldati di «Mediterraneo», il film premio Oscar di Salvatores. Ricordate? Abatantuono e gli altri hanno il compito di presidiare un’isola greca, apparentemente deserta. Senza più battaglie da combattere, senza più nemmeno il simulacro di un nemico con cui vedersela; questi soldati si consegnano placidamente all’ozio: c’è chi trascorre le giornate dormendo, chi guarda il mare, chi si fidanza con una mula, chi aspetta che il tempo passi. Il rischio – per il gruppone in stand by – è esattamente questo (al netto della mula). Se in «Mediterraneo», poi comunque succede qualcosa ad agitare le acque; è lecito pensare che quest’anno la serie A abbia gerarchie di classe scolpite nella pietra. E allora pensateci: quando andiamo al mare e guadagniamo l’acqua possiamo decidere di galleggiare, così, starsene beatamente a mollo sotto il sole, oppure di nuotare, anche solo per misurare la nostra resistenza. E’ una differenza sostanziale. Buttare in acqua i giovani, farli nuotare, vedere come se la cavano: può fare la differenza. Non oggi, ma domani. Non quest’anno, ma il prossimo. Farlo – di questi tempi – è un dovere etico: con onestà, senza raccontarsi frottole. Quindi: al prossimo allenatore che dice «mi sentirò salvo solo a quaranta punti» lanciate un ciambellone, così sta più tranquillo”. Questo quanto riportato da “Il Corriere dello Sport”.