“Mamona. «Mi chiamavano così». Già, mamona, seme di ricino, “simenza” (di zucca) in siciliano, cioè “picciriddu”. Come Dybala. Solo che Bruno Henrique, regista brasiliano con passaporto italiano, cuore del Palermo di De Zerbi, col tempo è cresciuto. E quel nomignolo è rimasto malgrado i 180 centimetri. «Un soprannome che mi hanno affibbiato da piccolo quando, ogni fine settimana, sul pullman che ci accompagnava alle partite di calcio a cinque, mi mettevo nel corridoio tra mio fratello Douglas e altri bambini, i mister, i parenti, i compagni e facevo casino. Cantavo e ballavo, scuotendo mani e corpo, il rock satirico dei Mamonas Assassinos, una band in voga negli anni novanta, oggi riscoperta, cancellata nei suoi componenti originari da un incidente aereo. Musiche particolari per bambini, con salti, giravolte, vestiti da Batman o Robocop. Ero bravo e facevo ridere. Avevo sei anni e scoperto da poco il mondo del pallone. La testa mi girava, andava fino in cielo, mi divertivo, sognavo, per me era tutto nuovo… Così mi è rimasto “mamona”. Dopo la partita, si mangiava a sacco sul posto, al massimo un dolce in un bar, soldi non ce n’erano. Ugualmente ricordi meravigliosi, incancellabili». LA PIANTAGIONE DI CAFFE’. Aveva un paio d’anni quando la famiglia Corsini si trasferì dalla campagna in città, nel desiderio di una vita migliore. Non certo il viaggio dei suoi antenati, cinque generazioni indietro, partiti da Cologno al Serio, in provincia di Bergamo, per evitare disoccupazione, povertà, guerre. Emigranti a caccia di quel benessere che la loro patria negava. «Abbiamo stentato anche noi, ma la famiglia è rimasta unita, sempre felice di quello che aveva: Pericles e Cleusa, papà e mamma; e i miei fratelli: Douglas, il primo a tornare in Italia, e Dyane che alla pallavolo ha preferito una laurea in psicologia». Vita di sacrifici. «Papà oggi ha un camion tutto suo con il quale fa trasporti, mamma è casalinga, io e Douglas siamo protagonisti in A. Ma prima abitavamo in campagna, in una casa in legno, e stavamo tutto il giorno nella piantagione dove Pericles e Cleusa erano addetti alla raccolta e alla lavorazione del caffè. Douglas mi racconta che giocavamo con le piante, la terra, con camioncini di legno, pezzi di carta. Non è stata un’infanzia ricca, anzi. Avevamo il giusto per tirare avanti. Papà stava fuori dalla mattina alla sera, mia madre pure e in più sbrigava i lavori più umili, anche nelle case degli altri. Genitori meravigliosi, non esistono parole per descrivere quello che hanno fatto per noi». PRIMO TRASFERIMENTO. «Io e Douglas siamo nati in paesi diversi, ma vicinissimi a Cambira, cittadina agricola di 8.000 abitanti, nello Stato del Paranà: io ad Apucarana, come mia sorella; Douglas a Mandaguari, sempre alla ricerca dell’ospedale adatto. A scuola, Douglas era più bravo e ha finito le superiori; io invece ho chiuso con i libri alla seconda media, proprio non mi piaceva. E ho cominciato ad appassionarmi al calcio a 5 guardando mio padre e mio fratello, nella squadra del Municipio che sarebbe stata quella dei miei primi passi». Bravo a furia di sacrifici! «Mi sono staccato dalla famiglia a 10 anni finendo a 350 km di distanza. Papà e mamma urlavano: Ma dove vai? Piantavo i piedi per terra. Nella nostra famiglia si sceglie insieme. Così mi accontentarono. Tanto – sussurravano – tra cinque giorni torna. Invece eccomi addirittura a Palermo, in un altro continente. Fu un periodo sofferto. Immaginate un bambino, da solo, con genitori che non vanno a trovarlo perché senza soldi. E viaggi interminabili fino a notte. Mi addormentavo nel pullman e, alla stazione, papà non mi vedeva. Così, scendeva in garage e doveva svegliarmi per portarmi a casa». MESSAGGIO, MAI ARRENDERSI. La famiglia lo adora e lui adora gli altri. Periodi particolari che racconta perché la gente ne prenda esempio. E’ stato un orgoglio indescrivibile rivedersi in televisione, con la maglia del Corinthians, il sogno da bambino realizzato, la fascia di capitano, il titolo brasiliano, lui moschettiere del Timao, lo squadrone per eccellenza, oggi nella serie A italiana. «Ma nessuno si rende conto di quello che c’è alle spalle. Ambizioni? Certo. Senza mai dimenticare da dove siamo partiti e come siamo arrivati». Gli ostacoli, per esempio. «Sul più bello sono rimasto fermo sei mesi. Ero in prestito alle giovanili dell’Atletico Mineiro, volevano trattenermi, ma il boss, che nel frattempo aveva comprato il Lodrina, oggi in B, mi negò quello che sarebbe stato un clamoroso lancio. Come perdere il treno per il Milan o un’altra grande. Ho sofferto tantissimo ma sono arrivato lo stesso». LA PASSIONE. Passa dalla famiglia. «Papà mi portò nella scuola calcio a 5 del paese, quella del Municipio. Ne sapevo poco anche se andavo tutte le domeniche con lui per vederlo giocare. Pericles era un dilettante ma molto bravo e non lo dico perché sono il figlio, lo confermano anche Douglas e altri. Mio fratello ha avuto la fortuna di giocarci insieme, quando era giovane e forte. Oggi, papà ha 54 anni e Douglas 34. Con gli anni ha conservato piede e grinta. Amore tramandato, da padre a figlio, da fratello a fratello. Douglas aveva sette anni in più, il mio idolo, il mio angelo custode, la mia guida. Papà faceva il difensore centrale, calciava bene, bravo di testa, un elemento completo. Sono di parte (risate, ndr)? Tutti destri, il sinistro ci serve solo per salire sul pullman. Douglas torna in Brasile tutti gli anni, ora toccherà anche a me per ricomporre il trio delle meraviglie… Douglas e papà in difesa, io a centrocampo. E chi passa?». A NATALE, FINALMENTE SPOSI. Bruno è fidanzato da… sempre con Beatrice, più semplicemente Bhel. Non sono ancora sposati «ma viviamo con un cane, Duque, il nostro primo figlio». Grandi novità in arrivo. Il tempo di completare i documenti. «Sono a Palermo con la mia ragazza. Ci siamo conosciuti a Irati, l’ho incontrata in discoteca, un amore fulminante, a Natale tornati in Brasile per la sosta ci sposeremo, ormai stiamo insieme da sei anni, abbiamo imparato a conoscerci, siamo maturi per il passo». La bella bruna dagli occhi azzurri che ha lasciato una carriera da modella e da star per seguirlo si è innamorata di Mondello e su Instagram ha svelato il suo sentimento: «Nuova vita, tutto nuovo! Non avrei mai immaginato che questo sarebbe stato il nostro destino… La vita è troppo folle e anche questo è amore. Ciò che conta è che siamo insieme! Complimenti amore! Sai che ti ammiro tanto!». La risposta di Bruno: «Grazie. Sei anni di pura emozione. Ti amo». DAL CORINTHIANS A PALERMO. «Il Palermo è una grande società, l’Italia mi affascinava, il mio desiderio era di entrare nella favola del calcio europeo e per questo ho studiato l’inglese. Spero di assimilare subito il calcio italiano che non è poi così diverso dal nostro. In fondo anche in Brasile si lavora sulla tattica e da un punto di vista di preparazione fisica qui c’è intensità ma nessuna paura di non farcela. L’ostacolo casomai è la lingua. Più imparo più semplice sarà il mio inserimento. La maestra mi ha fatto i complimenti…». Perché la maglia 25? Piccola, dolce superstizione. «L’ho scelta perché la nonna paterna Ovatalina era nata proprio a Natale. Una nonna speciale, di una bontà infinita. Mio fratello sostiene che è una santa. Con il 25 ho fatto bene in Brasile, lo tengo anche qui». Regista o mediano? «In Brasile, ho avuto l’opportunità di svolgere i due ruoli, mi adatto facilmente. Voglio solo giocare. A chi assomiglio? Penso di essere me stesso. Pirlo e Zidane erano idoli, non modelli perché le mie caratteristiche sono diverse. Da piccolo ho solo cercato di imitare mio fratello e i suoi comportamenti». DE ZERBI FANTASTICO. «Sono arrivato in Italia e in tribuna a Milano contro l’Inter ho visto il Palermo di Ballardini. Poi è arrivato De Zerbi. Capita anche in Brasile, gli esoneri sono problemi della società. I giocatori pensano alla partita e agli allenamenti. De Zerbi? E’ giovane con idee di gioco fantastiche, schemi aggressivi, d’attacco, tanta tattica e possesso palla. La squadra lo segue, farà sempre meglio. Che gol vorrei segnare io che ne ho fatti pochi? Non ho in testa un avversario o una data, mi piacerebbe un gol soprattutto utile per una vittoria e per fare felici compagni e tifosi». Contro la Samp? «Conosco poco l’avversario, abbiamo disputato tre trasferte ravvicinate con buoni risultati e preparato questa partita a puntino. Si va a Genova per giocare bene e per un grande risultato»“. Questo quanto si legge nell’edizione odierna del “Corriere dello Sport”.