Corriere dello Sport: “Brexit, il calcio non trema”

La Brexit sarà un disastro per la Premier League? Non proprio. E sicuramente è infondato l’allarmismo che parla di 300 e passa calciatori comunitari lasciati a spasso. Vediamo i motivi. Innanzitutto, molti pro-Brexit auspicano che l’Inghilterra passi all’Area Economica Europea (EEA) come la Norvegia e in tal caso la libera circolazione verrebbe garantita. Qualora questo non dovesse succedere, i calciatori stranieri dovrebbero richiedere un permesso di lavoro tramite il sistema attuale. Che, attenzione, non si basa come una volta solo sul ranking Fifa e le presenze in nazionale degli ultimi 2 anni, ma anche sull’ingaggio, sul costo del cartellino e sul club di provenienza. Secondo uno studio del “Guardian” soltanto 36 giocatori di Premier League, per lo più giovani e riserve, non avrebbero i requisiti. E, naturalmente, potrebbero sempre ricorrere in appello (l’anno scorso, il 78% dei ricorsi è stato accolto). Senza dimenticare che lo spirito è di favorire il calcio inglese: quindi, se necessario, le maglie potrebbero allargarsi ulteriormente. «La Premier è uno degli export inglesi di maggiore successo e storicamente si è sempre voluto aiutare le eccellenze inglesi – spiega l’economista Stefan Szymanski – Chiaro che, se necessario, faranno eccezioni per il calcio, come fanno per la finanza e per le università». I CALCIATORI STRANIERI I calciatori stranieri non rischiano di perdere i permessi di soggiorno innanzitutto perché anche un Regno Unito fuori dall’Unione Europea avrà comunque rapporti di commercio con gli stadi comunitari o sotto forma dell’Area Economica Europea o con accordi bilaterali. Ma soprattutto perché la stragrande maggioranza dei calciatori stranieri che ora sono comunitari non avrebbe problemi – almeno in Premier League – ad ottenere il permesso di lavoro. Questo già in base alla normativa attuale per gli extracomunitari che tiene conto del valore del cartellino, dell’ingaggio, del club di provenienza e delle esperienze accumulate tramite un sistema a punti. L’anno scorso erano solo 32 gli stranieri in Premier League che non raggiungevano questi requisiti minimi. E, badate bene, si può sempre ricorrere in appello per “casi particolari”: il tribunale ha accolto, nella passata stagione, il 78 per cento dei ricorsi. Dal momento che il protezionismo non è nell’interesse della Premier League e del calcio inglese e che i requisiti sono frutto di trattative tra Premier League, federazione e ministero degli interni (Home Office) difficile pensare ad un giro di vite. Il governo è sempre stato accogliente verso immigrati di qualità: basti pensare al numero di stranieri nella City oppure ai meccanismi del sistema universitario inglese. Difficile pensare che la Premier, finché tira, non abbia lo stesso trattamento di riguardo. IL NODO DEGLI UNDER 18 Quali effetti avrà la Brexit per gli stranieri Under 18? Ecco il nodo più rivelante di questa uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea, per quanto riguarda il calcio. E’ qui che vi sarà l’impatto maggiore. La normativa Fifa sul trasferimento dei minori è molto chiara. Possono essere tesserati da una federazione estera soltanto calciatori che soddisfano uno dei tre requisiti. Ragazzi che si spostano per motivi extra-calcistici, principalmente per un trasferimento di lavoro dei genitori. Oppure “frontalieri” che risiedono al di là di un confine di Stato ma nel raggio di 50 chilometri da un club. Per esempio, un ragazzo di Como che viene tesserato dal Chiasso. Oppure, minori che si trasferiscono nell’ambito dell’Unione Europea o dell’Area Economica Europea (EEA). E qui sta il nodo del discorso. Il Regno Unito lascerà l’Unione Europea. Ma cosa potrebbe succedere se dovesse rifiutare anche l’ingresso nell’EEA? In tal caso, stop totale ai trasferimenti degli Under 18. In particolare non vi sarebbe più la possibilità di prelevare baby sedicenni dai vivai altrui come ha fatto in passato, ad esempio, il Manchester United con Paul Pogba, ma anche con Giuseppe Rossi e Adnan Januzaj. Pista seguita anche dal Chelsea (Fabio Borini) e dall’Arsenal (Cesc Fabregas). Niente più blitz all’estero? Ipotesi che regalerebbe serenità a molte società che adesso si vedono portare via i loro gioiellini. ALLENATORI E GIOCATORI ITALIANI Cosa cambierà per gli allenatori e i giocatori italiani? A breve termine l’unica cosa che potrebbe cambiare è la busta paga, che sarà più leggera se vorranno convertirla in euro. La sterlina ha già perso un dieci per cento nei confronti dell’euro in meno di 24 ore. Bisognerà vedere se si tratta di un contraccolpo o di un trend. E’ già accaduto in passato di vedere sbalzi nei cambi. L’anno scorso l’euro perse il 15 per cento in tre mesi nei confronti della sterlina e nel 2008 accadde l’opposto, con l’euro che guadagnò il 17 per cento nel giro di poche settimane. Quindi sono rischi che ci si accolla quando si sta all’estero. A livello di permessi di lavoro, invece, il problema non esiste. E, comunque, bisogna ricordarsi che l’uscita definitiva non avverrà ancora per diversi anni. I più ottimisti dicono due, i più scettici dieci. «Non vedo come si possa pensare di risolvere una questione così spinosa in poco tempo – afferma l’avvocato Daniel Geey, esperto in materia – Soprattutto se dopo si procederà sulla via degli accordi bilaterali». Quindi, almeno per la generazione attuale di calciatori e allenatori italiani in Premier, da Graziano Pellè a Claudio Ranieri, da Matteo Darmian a Walter Mazzarri, la situazione non li coinvolgerà, salvo nel portafoglio. E forse solo per qualche mese, se la sterlina poi dovesse riprendersi. Sempre però che all’interno dei contratti non abbiano già pattuito anche loro, come nel caso di Antonio Conte, una retribuzione in euro. CLUB INGLESI E POTERE DI ACQUISTO Un’altra domanda che rimbalza dagli ambienti del calcio europeo, in merito alla Brexit e alle conseguenze per la Premier League, riguarda il potere di acquisto dei club inglesi. Diminuirà la disponibilità del portafoglio del Manchester United e del City, del Chelsea e dell’Arsenal? Il referendum ha provocato un crollo immediato della sterlina nei confronti del dollaro e dell’euro, che hanno guadagnato circa un dieci per cento rispetto alla divisa britannica. E c’è subito un esempio che può aiutare a fare luce sulla questione. Il West Ham stava trattando l’acquisto dell’attaccante belga dell’Olympique Marsiglia, Michy Batshuayi, che in realtà è stato sempre attratto in modo particolare dall’offerta della Juve. Trame di mercato a parte, l’argomento è un altro. La richiesta del Marsiglia è di 40 milioni di euro. Che, pre-referendum, equivalevano a 31 milioni di sterline. Ma oggi – alla luce del nuovo cambio – sono già diventati 34 milioni. Al momento, quindi, tutto diventa più costoso per i club inglesi, dall’acquisto dei calciatori al loro ingaggio. Resta da capire però se si tratta di un fenomeno passeggero. E’ normale che in momenti di forte incertezza vi sia un crollo della valuta. Ma vi è anche la possibilità che la sterlina non si riprenda, soprattutto se dovesse faticare l’economia oppure se arrivassero ulteriori segnali negativi, magari sul fronte degli investimenti dall’estero. In tal caso, gli inglesi dovrebbero abituarsi a una sterlina debole. E i club impegnarsi a sostenere spese più elevate. LA PREMIER E GLI INVESTITORI Cosa cambierà nello scenario imprenditoriale? I club inglesi continueranno ad esercitare lo stesso fascino sugli investitori stranieri? Oppure la Brexit rappresenterà un ostacolo, il rischio anche di uno strappo, di un allontanamento? Attualmente, anche grazie al mega contratto TV, i club di Premier League sono macchine da soldi. E non a caso la maggioranza dei proprietari sono imprenditori stranieri che hanno pagato a peso d’oro le loro società. «Per noi del calcio Brexit è un disastro sotto il profilo commerciale», ha dichiarato Karren Brady del West Ham. Qui la situazione, però, varia da squadra a squadra. Se dovessero esserci ricadute sull’economia inglese (nonostante la globalizzazione degli introiti, Tv e non, arriva dal mercato interno) i ricavi ne risenterebbero e il valore dei club calerebbe. In parte, comunque, questo potrebbe essere bilanciato dal calo della sterlina, perché i club costerebbero di meno per chi si presenta con valuta estera. Ma non è un dato su cui fare affidamento, considerando che i valori attuali potrebbero cambiare nei prossimi mesi. Qualcuno ha anche il dubbio che la Brexit possa incidere negativamente sugli accordi commerciali con l’estero (a cominciare dagli sponsor) ma è probabile che resteranno sotto l’apparato legale dell’Unione Europea. Anche perché il governo farà di tutto per limitare i danni alle eccellenze inglesi. Tra cui, ovviamente il calcio“. Questo quanto riportato dall’edizione odierna del “Corriere dello Sport”.