L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” dedica un lungo articolo alla scomparsa di Silvio Berlusconi, ripercorrendo la sua carriera nel mondo del calcio, ma soprattutto il suo impero.
L’impero economico costruito da Berlusconi si compone di una enorme varietà di partecipazioni con una matrice comune molto evidente: l’intrattenimento. Da sempre, il Cavaliere ha costruito le sue fortune occupandosi del tempo libero degli italiani. Al centro c’è naturalmente Mediaset: oggi diventata MFE (Media for Europe) dopo il trasferimento della sede legale in Olanda, mantiene a Cologno il quartier generale operativo con 5.000 dipendenti, 4 miliardi e mezzo di ricavi e produce utili di tutto rispetto (374 milioni nel 2021). Per cinque anni Mediaset è stata oggetto di una partita serrata, a tratti conflittuale, con i francesi di Vivendi. Entrati in Mediaset nel 2016, in forza di un accordo che mirava a realizzare un colosso europeo dei media, Vivendi (proprietario di Canal+) voleva contrastare con gli italiani l’invasione di Netflix.
La crisi del modello televisivo tradizionale, accentuata dal Covid, ha però complicato la convivenza dei due gruppi caratterizzata da continui conflitti decisionali. Nel 2021, Mediaset e Vivendi decisero di separarsi con un piano che prevede il graduale riacquisto della società da parte di Fininvest, la holding della famiglia Berlusconi. Qualcuno dice che la ritirata di Vivendi sia solo strategica e che i francesi restino alla finestra per osservare se, dopo la morte del fondatore, i figli non avranno la compattezza necessaria. Oltre a Mediaset, il portafoglio Fininvest comprende Mondadori, azienda storica che Silvio conquistò negli anni ‘80 dopo un’aspra, discussa e controversa guerra col suo nemico storico, Carlo De Benedetti. Il gruppo di Segrate, oggi presieduto da Marina, ha 2.000 dipendenti e vale mezzo miliardo di euro ma, soprattutto, controlla marchi tra i più prestigiosi dell’editoria italiana come Rizzoli, Fabbri, Le Monnier. Sotto l’ombrello Fininvest c’è la quota di minoranza nella Banca Mediolanum fondata da Ennio Doris, il Monza e il Teatro Manzoni di Milano che Silvio comprò, si dice, per fare colpo su un’avvenente attrice che vi recitava e che sarebbe diventata sua moglie: Veronica Lario.
Fininvest è la holding con cui, dagli inizi della sua carriera imprenditoriale, Silvio ha realizzato tutti le sue acquisizioni. In essa aveva fatto confluire la Edilnord, con cui aveva iniziato costruendo il quartiere residenziale Milano 2 negli anni Settanta. Fininvest è la holding che per trent’anni ha controllato il Milan: acquisito dal fallimento della Ismil di Giussy Farina, Berlusconi vi ha iniettato 860 milioni di euro (partendo dalle lire) per allestire squadre che hanno scritto la storia del calcio europeo, prima di cederlo al discusso finanziere cinese Yonghong Li, per 760 milioni, nel 2016. A malincuore, dicono le persone a lui vicine, perché il gioco era diventato troppo grosso e le pressioni dei figli che chiedevano di arginare l’emorragia di milioni che il Milan richiedeva erano diventate insostenibili perfino per lui.
Inevitabile pensare che la passione di Berlusconi per il calcio scaturisse dal suo fiuto particolare nel seguire le grandi debolezze degli italiani, tra cui il pallone si colloca sicuramente ai primissimi posti. Ad esso si legano, forse, anche le sue fortune politiche. Racconta Paolo Maldini che nel 1993 (prima della famosa discesa in campo) Silvio annunciò ai giocatori: «Quest’anno dovete vincere lo scudetto e la Coppa dei Campioni, così mi aiuterete a diventare presidente del consiglio». Tutti credevano che scherzasse ma accaddero esattamente queste tre cose. Fininvest controlla le aziende ma è rigorosamente separata dalla holding immobiliare contenente le leggendarie dimore del Cavaliere: da Arcore a Macherio fino a Villa Certosa, Roma, Lago Maggiore e Lampedusa. Tutte possedute da Silvio a titolo personale, attraverso una holding di cui possedeva la totalità.
La struttura proprietaria sopra Fininvest è molto complessa. A Silvio facevano capo 4 holding denominate Holding Italiana 1, 2, 3 e 8 controllanti complessivamente il 61% del capitale. Il resto è diviso in 3 holding appartenenti rispettivamente a Marina e Pier Silvio (7,65% ciascuno di Fininvest) e ai 3 figli di secondo letto (Barbara, Eleonora, Luigi) col 21,5%. Quindi i due figli maggiori hanno una quota complessivamente minore dei tre minori, ma l’assetto futuro dipenderà dalla distribuzione della quota successoria del Cavaliere. Cosa accadrà dopo, se i cinque eredi riusciranno a mantenere coesione per tenere unito il gruppo, resta naturalmente un interrogativo da verificare. Tutti hanno ottenuto grandi dividendi negli anni dalle holding, e tutti hanno perciò patrimoni personali rilevanti con cui ognuno ha investito in vari campi. Il desiderio di Berlusconi sarà stato certamente di non disperdere l’unità del gruppo.