Corriere dello Sport: “Artëm Dzyuba. Il “cattivo” Sergente dice no alla Russia”
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul calciatore russo Dzyuba che rifiuta la convocazione in Nazionale.
Come scrive Trilussa, la guerra è un gran giro di quattrini e una questione di famiglia. La si fa tra cugini, senza complimenti. Artëm Dzyuba di cugini ne ha diversi in Ucraina, lasciati lì dal ramo paterno, e qualche complimento si sente di farlo. Quindi rinuncia alla Nazionale, in attesa che la ragione prevalga (e amaramente potrebbe volerci un po’). Ha uno spirito delicato in un corpo di quercia nodosa. Quando Mancini allo Zenit lo metteva fuori squadra, e capitava, lui si chiudeva in un armadio a leggere poesie. Una delle quali era la preferita di Mandela, “Invictus” di Williams Ernest Henley. «Ringrazio qualsiasi dio possa esserci / per la mia anima inespugnabile / … Sono io il capitano della mia anima ». Poi usciva dall’armadio e riprendeva a fare sciocchezze.
Gli vengono sempre perdonate. Perché no, poi: conoscete la faccenda del peccato e del sasso. Dzuyba è un eroe del calcio russo, per quanto si possa essere eroi in battaglie da cui uscire sani e salvi è la regola. Si è guadagnato comunque il diritto di dire al commissario tecnico Valery Karpin che non andrà al ritiro del 21 marzo, quello in cui si guarderanno in faccia, tanto non possono giocare in nessun angolo del civile consorzio. Dall’altra parte si è guadagnato il diritto di giurare che non rinuncia per la guerra, «la guerra non c’entra nulla, la politica neppure, si tratta di questioni familiari che in questo momento non vorrei spiegare nel dettaglio . Valery forse mi ha frainteso» . Lo ha detto al giornale russo Sport-Express. Così resta la presa di posizione e resta anche la tranquillità personale, visto che attualmente le velleità pacifiste in Russia sono gradite quanto il caviale lombardo o gli scacchisti statunitensi.
Dzyuba non è uno che si lascia mettere in mezzo. E si sa muovere, anche se in campo non sembra. Lungo, storto e pericoloso. Cannoniere storico del campionato russo. Tre scudetti e 107 gol con lo Zenit San Pietroburgo, 30 gol con la Nazionale benché non sia la prima volta che ne entra e ne esce con la disinvoltura di uno spazzacamino. Per trovare spazi decenti dovette aspettare che s’infortunasse Kokorin. Poi segnò tre volte al Mondiale 2018, portando la Russia ai quarti nel Mondiale di casa. Salutando militarmente. Così cominciarono a chiamarlo Sergente. Lo chiamano così pure adesso che ha puntualizzato di essere contro ogni guerra. «La guerra fa paura. Però sono anche contro ogni odio ». Tanto per farla capire a Vitaliy Mykolenko, nel corso di un alato confronto social nel quale l’ucraino aveva definito «bastardi » i nazionali russi che tacevano sull’invasione e Dzyuba aveva replicato: «Facile parlare con il sedere al caldo in una villa inglese ».
Fa così, il Sergente. Spirito delicato e cervello vivace. Sempre per le soluzioni diplomatiche. Capace di farsi perdonare dalla moglie dopo essere stato sorpreso ad amoreggiare in automobile con una conduttrice televisiva. E dallo Spartak Mosca dopo l’accusa di aver rubato il portafoglio di un compagno, e dalla Nazionale – di cui è stato persino capitano – dopo un inequivocabile video spinto, e dallo Zenit dopo essere entrato nello spogliatoio vestito da Deadpool, il supereroe meno corretto di sempre, per mimare un rapporto erotico con Sardar Azmoun. Spiegazione: avevamo vinto il titolo, eravamo contenti e volevamo cementare le relazioni amichevoli tra Russia e Iran.