L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul Mondiale in Qatar e la Brigata Sassari schierata contro il terrorismo.
Sarà un mese denso, sarà un mese nuovo. Mai un Mondiale era stato giocato in Medio Oriente, mai era stato organizzato in autunno fermando tutti i campionati, mai una Coppa del mondo era stata assegnata nello spazio di 75 chilometri: è la distanza massima tra gli otto stadi che in buona parte sono stati costruiti ex novo a Doha e dintorni. Hanno tutti l’aria condizionata, per consentire a calciatori e spettatori di non soffrire la temperatura che anche ieri ha toccato la punta massima di 32 gradi, tranne uno che si chiama 974 come il numero di container da navi utilizzati per assemblarlo. Ma giurano che in quella zona il caldo non si sentirà. Inutile aggiungere che l’impatto ecologico, nonostante le promesse del Qatar, sia poco gradito agli ambientalisti: si calcola che in un mese verranno prodotte 3,6 tonnellate di biossido di carbonio, il doppio di quanto emesso in Russia quattro anni fa.
IL CASO. Quasi tutti gli stadi verranno smantellati dopo il 18 dicembre, giorno della finale che coincide con la festa nazionale del Qatar. La modalità è usa, incassa e getta. Le associazioni per i diritti umani protestano, perché le condizioni precarie nelle quali hanno lavorato gli operai e gli altri dipendenti nei cantieri hanno provocato quasi 7.000 morti, cifra mai confermata dalle autorità locali. Si tratta per la maggior parte di immigrati del Sud Est asiatico, che costituiscono la working class del Paese (sono circa 2 milioni) e hanno reso possibile la realizzazione dell’evento. Molte nazionali hanno chiesto alla Fifa di prendere posizione sul caso, Germania e Danimarca in testa, ma sono state respinte dal presidente Infantino, che da un anno si è trasferito a Doha con la famiglia per conoscere meglio la realtà qatarina. È stato anzi raccomandato a tutte le federazioni di non sfoggiare messaggi politici a margine del torneo. Neppure a favore della libertà sessuale, che qui è obiettivamente un concetto complicato da difendere. Vale per il mondo occidentale ma anche per i giocatori dell’Iran, che si sono già schierati contro la persecuzione liberticida messa in atto dal governo di Teheran. Chissà se il calcio, con il solito meccanismo dello sport washing, riuscirà anche stavolta a ripulire le coscienze. Il Qatar giura che «tutte le culture saranno le benvenute» e per dimostrarlo ha aperto al consumo di bevande alcoliche. Solo che non si potranno vendere negli stadi: paradossale se si pensa che uno dei principali sponsor del Mondiale è una birra.
CONTROLLO. L’attenzione è altissima anche sul fronte della sicurezza. L’emiro Al Thani ha firmato un contratto da 10 milioni di dollari con l’Interpol per essere assistito nella gestione dell’ordine pubblico, un granello nella sabbia dei 300 miliardi complessivi investiti. Un sistema centralizzato gestirà 15.000 telecamere con il riconoscimento facciale piazzate dentro e fuori dagli stadi, con lo scopo di prevenire il fenomeno hooligans. In più molti Paesi forniranno assistenza militare per l’antiterrorismo. Tra questi l’Italia con l’Operazione denominata Orice, come l’antilope del deserto: coinvolge 46 mezzi terrestri, due aerei e una nave per un totale di 560 soldati. Non ci siamo qualificati sul campo ma siamo rappresentati sul posto dalla Brigata Sassari, guidata dal comandante Bossa. Il governo italiano ha speso 10,6 milioni di euro per partecipare alla spedizione, alla voce «relazioni diplomatiche». Più di quanto potrebbe incassare il Bayern Monaco, il club che ha mandato il maggior numero di calciatori al Mondiale: 17. La Fifa pagherà 10.000 euro per ogni partita in cui un giocatore è stato utilizzato. Si tratta di un risarcimento preventivo per il rischio-infortuni, una delle grandi incognite di questo pazzo torneo. Che sembra avere tanti pretendenti e nessun favorito: è sempre così quando nessuno sa cosa aspettarsi.