L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla scomparsa di Fabian O’Neill.
Il dispiacere nella voce si tocca con mano, le storie nella storia sono tante. Del resto è stato proprio Massimo Cellino a portare Fabian O’Neill in Italia, al Cagliari, dove il Mago s’è espresso al meglio.
Tutto cominciò in Uruguay.
«Lo vidi in un’amichevole a Punta del Este, ero con Paco Casal a una partita del Nacional durante le vacanze di Natale. Mi lasciò impressionato e lo volli portare al Cagliari. C’era Trapattoni come allenatore».
Quando si accorse che aveva problemi con l’alcol?
«Quando venne nel mio ufficio perché aveva avuto un incidente con l’auto. Gli chiesi “che c…. ci facevi alle 4 del mattino in giro?” e mi rispose “presidente, ho incontrato uno che mi ha detto che saremmo retrocessi, mi sono offeso, l’ho rincorso e per disgrazia gli ho tamponato il motorino”. Invece non era così. Si vedeva che aveva bevuto tanto».
Poi ci fu il passaggio alla Juventus.
«Mi disse che non voleva andar via da Cagliari, ma che sarebbe stato meglio perché c’era troppa gente che lo proteggeva in città. E allora lo feci andare alla Juve, che però non riuscì a cedere Zidane e ce lo lasciò un altro anno in prestito. Ma non fu più lo stesso».
Poi però a Cagliari c’è ritornato dopo l’esperienza al Perugia.
«Dove rinunciò a 4 anni di contratto a 2,9 miliardi netti di lire. Gli fecero firmare un documento, non so cosa, si vede che aveva bevuto. A Cagliari l’abbiamo fatto disintossicare, ma soffriva perché non giocava titolare. Poi un giorno mi chiama e mi dice che se ne torna in Uruguay. “Non dire cazzate” gli rispondo, ma poi è partito veramente. Per dispetto. Sarebbe dovuto ritornare due settimane dopo, ma essendo extracomunitario non lo fecero imbarcare. Le regole all’epoca erano diverse».
Che giocatore era?
«Un fenomeno. Quello con più talento che abbia mai avuto. Usava entrambi i piedi indifferentemente. La sua gamba destra, più corta di 3 centimetri, fu curata male e quindi imparò a calciare di sinistro. Aveva una forza incredibile, di testa, sui calci piazzati, oggi giocherebbe da titolare nel Psg senza dubbio».
Come persona, invece?
«È l’unico giocatore, forse uno dei pochi, che mi ha fatto un regalo: un orologio da tavolo che conservo ancora. Un giorno rubarono la macchina al magazziniere del Cagliari, lui andò a comprarne un’altra e gliela regalò. E ora è morto in povertà».
L’aveva più sentito?
«Qualche telefonata, ricevevo sue notizie da alcuni suoi ex compagni, dicevano che stava male. A uno di loro dissi di aiutarlo e che l’avrei rimborsato. Chiesi di non dare i soldi direttamente a Fabian perché se li sarebbe bevuti».
Ha mai provato a chiedergli il perché bevesse?
«Sì, mi disse “mio nonno beveva, mio padre beveva, mio zio beveva, ce l’ho nel dna, è più forte di me”. Era un ragazzo meraviglioso: sensibile, profondo, buono. Riposi in pace».