Corriere dello Sport: “Addio a Schillaci. Quando il mondo scoprì un mito”
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla morte di Schillaci.
«Come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose». Questo celebre verso di Fabrizio De Andrè, scritto per Marinella, sembra perfetto per descrivere la vita di Totò Schillaci, che ci ha lasciato prima di compiere sessant’anni e ha vissuto la sua gloria calcistica in un mese indimenticabile: l’estate dei Mondiali del 1990, quando incarnò l’Italia intera. Il suo volto era ovunque, e quegli occhi sgranati divennero il simbolo del made in Italy. Proprio lui, che, quando fu voluto da Boniperti alla Juventus nel 1989, trovò le scritte “terrone” sui muri di Torino. Schillaci è diventato un pezzo di storia del nostro Paese, superando i confini del calcio: non è più solo uno sport quando tutti ti riconoscono, anche chi non ha mai visto una partita.
La sua parabola calcistica si consuma in un mese. Il 9 giugno 1990, entra al minuto 75 della partita d’esordio di Italia ’90 contro l’Austria, in sostituzione di Andrea Carnevale, e segna di testa su un cross di Vialli. È l’inizio delle “notti magiche”. La finale per il terzo posto contro l’Inghilterra il 7 luglio chiude quel capitolo glorioso, in cui Schillaci diventa il simbolo di un’intera nazione. In quel mese, il mondo del calcio cambia per lui: segna contro Cecoslovacchia, Uruguay, Irlanda e Argentina, e diventa il capocannoniere del torneo.
La sua carriera cambiò già nella stagione 1988-89, quando giocava nel Messina sotto la guida di Zdenek Zeman. Con il tecnico boemo, Totò vinse il titolo di capocannoniere della Serie B, attirando l’attenzione di Boniperti, che lo portò alla Juventus, proseguendo la tradizione di valorizzare i calciatori meridionali per favorire l’ambientamento degli emigranti operai a Torino. Totò continuava a fare ciò che gli riusciva meglio: segnare, in ogni modo possibile.
Non mancarono le difficoltà. A Palermo, suo fratello fu fermato per il furto di copertoni, scatenando cori denigratori nei suoi confronti negli stadi. Totò, però, reagì, esultando di fronte alla curva durante una partita contro il Bari. E spiegò: «Mi avvilisce che proprio la gente del Sud prenda di mira uno di loro, come me». Nonostante le critiche, Schillaci incarnava l’anima di una Nazionale forte ma incompleta. Il CT Vicini decise di portarlo ai Mondiali, inizialmente come riserva. Ma dopo la sua entrata contro l’Austria e i successi che seguirono, Totò si prese il posto da titolare e divenne il protagonista assoluto del torneo.
Il suo impatto andava oltre il calcio: in un’Italia dove la Lega Nord stava emergendo, Schillaci divenne un simbolo di riscatto per il Sud. Giovanni Spadolini, allora Presidente del Senato, lo elogiò pubblicamente, definendolo la “migliore risposta ai razzisti anti-meridionalisti”.
Dopo il Mondiale, il destino cambiò per Schillaci. Il declino fu rapido: dopo due stagioni alla Juventus e due all’Inter, scelse di andare a giocare in Giappone con il Júbilo Iwata, uno dei primi italiani a esplorare mete esotiche per il calcio. Anche se la sua carriera nel calcio professionistico si avviava al termine, Schillaci rimase un personaggio iconico, e continuò a far parlare di sé, candidandosi e venendo eletto al consiglio comunale di Palermo con Forza Italia.
Nel suo libro “Il gol è tutto”, Schillaci ricorda la sera della strage di Capaci, quando Giovanni Trapattoni gli disse: «Avete ucciso anche Falcone». Totò rispose: «Mister, ero con Baggio, chieda a lui cosa ho fatto. Ma andai a ripeterglielo quando lasciai la Juve: non l’ho ucciso io, né quei siciliani che non meritano pregiudizi». Schillaci raccontava con umiltà la sua vita, nata in una famiglia modesta, e di come il calcio fosse stato la sua “camera d’aria” per galleggiare sopra le difficoltà.
Addio, Totò. Sarai per sempre nei libri di scuola e nel cuore di chi ti ha visto rendere magica quell’estate del 1990.