L’edizione odierna de “Il Corriere della Sera” si sofferma sul caso Fagioli.
TORINO Dal talento per il gioco (del calcio) alla febbre del gioco (le scommesse), il passo è stato fin troppo breve se, ad appena 22 anni, Nicolò Fagioli s’è trovato in mezzo a un’indagine (molto) più grande di lui: «Ho fatto puntate su partite di calcio», ha ammesso, nella sostanza, quando è stato sentito dagli investigatori della Squadra mobile di Torino che, coordinati dal pubblico ministero Manuela Pedrotta, erano (e sono) sulle tracce di un giro di scommesse illegali, attraverso piattaforme on line. Setacciando quel mondo, popolato da gente non sempre raccomandabile, sono saltati fuori decine di utenti e, tra questi, pure quelle tracce, digitali, che portavano al centrocampista della Juve.
È fine estate quando alla giovane promessa dei bianconeri, e della Nazionale, arriva un invito a comparire per essere interrogato come indagato, a proposito delle sue grosse puntate on line e, va da sé, dell’ipotetica violazione delle norme previste dalla legge 401 del 1989: quelle che intervennero «nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini» a «tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive». In questo caso, però, si parlerebbe di puntate su partite, ma non della propria squadra.
È chiaro che gli investigatori hanno già in mano diversi elementi e che, mentire, non servirebbe a nulla. Così, Fagioli racconta come sono andate le cose, anche se è evidente che gli agenti hanno nel mirino soprattutto chi sta dietro all’organizzazione illegale. Insomma, presunti criminali. Subito dopo, gli avvocati del giocatore — Luca Ferrari e Armando Simbari — si fanno vivi con la Procura della Federcalcio, a Roma: Fagioli si è nella sostanza «autodenunciato», almeno per quanto riguarda l’ambito sportivo. Ed ora è «sereno — spiegano ancora i legali — ed è massimamente concentrato sulla Juventus e sul campionato». Così come del fatto, fin da subito, era stato messo al corrente il club bianconero.
Il gioco d’azzardo non è un reato, se non su piattaforme illegali, appunto: ma uno sportivo, qualunque sia il ruolo (atleta, allenatore o dirigente) non può scommettere sullo sport che pratica. Nel caso, il calcio. Su questo, è chiarissimo l’articolo 24 del Codice di giustizia sportiva: c’è il divieto per «i soggetti dell’ordinamento federale, dirigenti, soci e tesserati delle società appartenenti al settore professionistico di effettuare o accettare scommesse, direttamente o indirettamente, anche presso soggetti autorizzati a riceverle, che abbiano ad oggetto risultati relativi a incontri ufficiali organizzati nell’ambito della Figc, della Fifa e della Uefa».
Per la giustizia sportiva, potenzialmente, Fagioli rischia fino a un massimo di 3 anni di squalifica. Dopodiché, giovane e club se ne aspettano — in caso di colpevolezza — molti meno. È insomma un caso delicato, sportivamente e umanamente, se è vero che Fagioli è attratto dal gioco fin dai tempi delle giovanili, quando — raccontano — il tocco felpato del pallone fosse già accompagnato dalle partite di poker. Una presunta «ludopatia» che potrebbe essere spiegata nell’ambito della linea difensiva davanti alla giustizia sportiva. E se nulla rischia la Juve, discorso diverso potrebbe esserci per altri tesserati, anche se in via del tutto ipotetica: poiché, lo stesso articolo 24, parla di un «obbligo di informare la Procura federale» se venuti a conoscenza che società o altri tesserati siano dediti a scommesse. Perché una volta uscita la notizia, ieri, nel mondo del pallone pare che quasi tutti sapessero del demone di Fagioli.