Corriere della Sera: “Abramovich avvelenato. Un «avvertimento» nel cioccolato e nell’acqua? Il mese folle dell’oligarca che obbediva allo zar”
L’edizione odierna de “Il Corriere della Sera” si sofferma sulla questione relativa ad Abramovich e il suo avvelenamento.
Chissà se è per via di quella foto. Anni fa, i giornalisti convocati per la prima intervista a Roman Abramovich, proprietario del Chelsea che aveva appena vinto il titolo della Premier league, notarono l’immagine in biancoenero di una donna dentro una piccola cornice.
Quando gli chiesero chi fosse quella persona, il miliardario dallo sguardo timido tagliò corto. «È mia nonna», disse. E fu lui per una volta a cambiare argomento. Si chiamava Faina Mikhailenko. Era nata e cresciuta a Kiev, come suo marito Vasily. Fuggì dalla capitale Ucraina nel 1941, mentre le truppe naziste stavano invadendo il suo Paese. E così facendo si salvò dal massacro di Babyn Yar, avvenuto tre mesi dopo la sua partenza, dove vennero uccisi oltre trentatremila ebrei ucraini.
Con sé, Faina portava la sua ultima figlia, di appena due anni, Irina, che nel 1966 avrebbe messo al mondo un bambino chiamato Roman. Ribellione in famiglia Le settimane folli dell’oligarca più famoso e riservato del mondo erano cominciate con la ribellione della figlia Sophia, che con una storia su Instagram era stata la prima figlia dei «russi occidentali», a dire no alla guerra. Era il 26 febbraio. Pochi giorni dopo, nella sorpresa generale, mentre alcuni suoi colleghi oligarchi prendevano posizione contro l’operazione militare speciale e lui taceva come di consueto, era stato indicato addirittura da Volodymyr Zelensky come negoziatore per i colloqui di pace. E subito era trapelata la notizia che avesse accettato solo dopo aver ottenuto il benestare del Cremlino. Sembrava quasi un orpello, la sua presenza.
Invece, l’ormai ex proprietario del Chelsea, cittadino russo, lituano, portoghese e israeliano, ci ha provato. Lo testimoniano le rotte percorse dal jet affittato da una compagnia privata turca, con viaggi continui tra Mosca, Istanbul, Kiev, Varsavia, Minsk. Il presidente ucraino ha spiegato che l’oligarca era inserito nella delegazione russa di un non meglio precisato sottocomitato, ma che aveva esteso il suo ambito di azione alle questioni umanitarie, occupandosi di facilitare anche con risorse lroprie l’evacuazione dei civili da Mariupol.
Quasi un modo per schierarsi senza proferire parola. Ma in queste bizzarre negoziazioni, dove i russi al tavolo riconoscono di non avere alcun contatto diretto con il Cremlino, Roman Abramovich è sempre stato la chiave per arrivare a Putin.
Messaggio al Cremlino. E mercoledì scorso, lo ha fatto, arrivando a Mosca per portargli una nota scritta a mano da Zelensky sulla quale erano scritte le condizioni per mettere fine alla guerra. «Digli che lo distruggo», sarebbe stata la risposta di un Putin dall’aria cupa. Poco importa la relativa gravità dell’avvelenamento subito lo scorso 3 marzo da Abramovich e dagli altri tre diplomatici ucraini. Il gruppo Bellingcat, agenzia di giornalismo investigativo con sede in Olanda, è riuscito anche a entrare in possesso di alcune foto che documentavano lo stato di Abramovich dopo l’avvelenamento avvenuto tramite cioccolato e acqua, gli unici alimenti consumati quella sera dalla delegazione.