Coronavirus Siracusa, la protesta di 100 ristoratori contro il Governo: “Condizioni per la riapertura inaccettabili. Meglio stare chiusi”
Cento ristoratori della Provincia di Siracusa e non solo hanno sottoscritto un documento congiunto, inviandolo al Governo nazionale. Si tratta nello specifico di gestori di ristoranti e bar di Siracusa, Avola, Noto, Cassibile, Rosolini, Pachino, Portopalo, Marzamemi, Palazzolo Acreide, Floridia, Aci Castello, Catania,che hanno una questa lettera inviata al premier Conte. Come riporta “siracusanews.it”, al centro del dibattito la critica sulle presunte misure fin qui trapelate per il settore della ristorazione in vista della cosiddetta fase 2. Per i 100 firmatari infatti, la richiesta del distanziamento dei due tavoli è impercorribile in quanto i tavoli e i coperti sono l’unica fonte di reddito e con la riduzione dei posti a sedere a causa del “distanziamento sociale” verrebbe meno il modello di business su cui si basa l’impresa. Insomma, senza giri di parole i ristoratori parlano di “catastrofe” nel caso in cui le condizioni di apertura dovessero essere quelle fin qui paventate. Di seguito il testo del documento:“Signori del governo, ora basta. Smettetela di giocare con la nostra pelle. La dovete smettere di far trapelare informazioni sulla nostra categoria, su improbabili ipotesi di apertura con plexiglas, mascherine e tavoli a 2 metri, che hanno il solo scopo di confondere ancora di più le nostre giornate che stanno andando avanti senza un vostro aiuto. Basta girarci intorno, perché se ci atteniamo a quello che si sta dicendo in questi giorni è chiaro che voi di ristorazione non capite nulla. Dietro ad una attività ristorativa non c’è solo la partita Iva – si legge ancora – , il titolare, ma ci sono i dipendenti, i fornitori, i tecnici che fanno manutenzione… un esercito di persone che se porti i tavoli da 30 a 10 non ha senso più di esistere.” Se le soluzione per riaprire al pubblico sono quella finora trapelate, ribadiamo il concetto: noi rimaniamo chiusi. Non siamo una fabbrica. Il nostro lavoro è basato sul piacere, sulla socialità. A queste condizioni non possiamo aprire. Queste non sono le condizioni per fare ristorazione. Non abbiamo ancora ricevuto i 600 euro di marzo. I dipendenti non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione di marzo e siamo a fine aprile. E noi dovremmo riaprire, con il nostro modello di business dimezzato e con un economia che è al collasso, ma con lo stessa tassazione di prima ? No grazie. Qui c’è gente che vuole lavorare. Ma per lavorare ci devono essere le condizioni. Già erano difficili prima le condizioni che lo Stato ci dava per fare impresa. Figurati ora che a tasse e restrizioni si aggiunge l’emergenza di una pandemia mondiale. No caro Conte. Non possiamo riaprire alle condizioni che sentiamo dire in questi giorni. Vuoi che riapriamo? Vuoi che ci prendiamo il nostro rischio imprenditoriale? Ripartiamo dalle cose semplici. Qui c’è gente che non è solo “di protesta” ma anche di “proposta”. A quanto ammonta la tassazione sulla piccola e media impresa? Al 60/65%. Vuoi che riapriamo? Perfetto. Abbiamo bisogno di farci dei conti per il costo del personale, per l’Iva, per Irap, per l’Irpef, per l’Imu, per la tari, per la tasi, per il suolo pubblico. Non ce la facevamo prima caro Conte e non ce la faremo se apriremo fra 15 giorni nella stessa Italia fiscale di prima. Non vogliamo prestiti, ne 600 euro, se è questa la cifra che ti pare degna del nostro lavoro e della nostra professionalità. Vogliamo fare il nostro lavoro. Vogliamo farlo nelle condizioni dignitose per farle: economiche e sociali. Oppure non apriamo. Non paghiamo nessuna tassa. Noi fino ad oggi, abbiamo sempre mantenuto le nostre responsabilità. Adesso tocca a voi agire, per non dichiarare il fallimento di una intera nazione. La soluzione è semplice. Vuoi che tutti apriamo e che nessuno sia in grado di pagare, oppure vuoi che apriamo e che tutti paghino il “giusto”? Confrontati con noi ristoratori. Confrontati con le nostre associazioni di categoria”.