Rabbia al Policlinico di Catania, dopo la guarigione del 45enne maratoneta, Maurizio Jack Giustolisi, arrivato in fin di vita all’Ospedale Garibaldi e salvato dai medici.
Secondo quanto riporta “La Sicilia”, la rabbia del primario del reparto di Rianimazione, Ettore Panascia, è causata dal fatto che non è stato fatto nessun cenno all’equipe medica che ha salvato il maratonato, quanto piuttosto si è gridato al miracolo. Di seguito le parole di Panascia: «Era arrivato quasi morto. Per un mese, notte e giorno, lo abbiamo curato applicando questa difficile tecnica non facciamo miracoli, ma offriamo tutto il nostro impegno, anche oltre la misura ragionevole. Quello che ha dato fastidio per i fatti raccontati sui siti, sono soprattutto le dichiarazioni non vere. Io non ho mai telefonato alla moglie del maratoneta per dirle che avrei staccato le cannule a suo marito perché non c’era più nulla da fare. Io non ho mai fatto quella telefonata. Ora premesso ciò noi medici non desideriamo affatto che passi il messaggio che se i pazienti guariscono è merito dei miracoli dei Santi, mentre se muoiono è colpa dei medici. La falsa notizia che al Policlinico si sarebbe “gettata la spugna”, o che addirittura sarebbe stato detto alla moglie che non c’era più niente da fare e che l’uomo sarebbe morto è totalmente priva di fondamento. Inoltre è circolata anche la notizia che la donna dopo essere stata in Cattedrale avrebbe visto che il marito muoveva un braccio, altra vicenda falsa perché per tutto il tempo suo marito è stato sedato. Ora lungi da noi contestare la eventualità che un miracolo abbia aiutato questa persona, a guarire, ma far passare il messaggio che tutto si è svolto in questo modo significa buttare discredito su tutte quelle persone che a rischio anche della propria vita – allora non c’era neanche la vaccinazione – hanno vegliato per 28 giorni questa persona riuscendola a strapparla dalla morte.
Per carità che noi siamo tutti nelle mani divine lungi da me dallo smentirlo. Ma vorrei, anche per onestà nei confronti dei miei colleghi e degli infermieri, dire che noi su ogni paziente letteralmente “buttiamo sangue” 24 ore su 24 per cercare di tirarlo fuori da una condizione disperata. I cittadini non sanno quello che noi facciamo ogni giorno nel reparto, così come avviene in tutti i reparti che combattono contro questa terribile malattia, Non possiamo certo essere felici nell’apprendere che se il paziente si salva allora è grazie a un miracolo e se muore è colpa dei medici. Il primario d rianimazione spiega poi che i pazienti trattati con l’Ecmo sono molto particolari e il danno polmonare in queste persone è permanente. Panascia ricorda anche il dramma del ventinovenne catanese morto in rianimazione per Covid, dopo che per una settimana i medici hanno disperatamente lottato per salvargli la vita».